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Stefano Brusadelli, “I social sono una raffinata forma di inganno”

Abbiamo intervistato Stefano Brusadelli in occasione dell'uscita del suo ultimo romanzo, "Gli amici del venerdì". Oltre che di noir e Roma, ci ha parlato anche di social

MILANO – Stefano Brusadelli è nato a Roma nel 1955 e ha lavorato per molti anni nell’ambito del giornalismo, tra cui “Il Mondo” e “Panorama”, occupandosi principalmente di politica. “Gli amici del venerdì”, edito Mondadori, è solo l’ultimo dei suoi romanzi attraverso i quali parla principalmente di Roma, riflettendo su inganni e indagando sul rapporto tra caso e destino. In questa intervista, oltre a parlarci del suo romanzo, ci ha dato anche il suo interessante punto di vista sui social network.

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Da dove nasce l’idea per “Gli amici del venerdì”? Si è rifatto a qualche fatto di cronaca particolare o tutto frutto della sua fantasia? 

“Gli Amici del Venerdì” è una storia di fantasia. Ma anche le vicende di fantasia nascono da materiali, per così dire, “cavati“ dalla realtà. In questo caso essi sono l’antica propensione del potere romano a servirsi della manovalanza criminale, le esistenze nei grandi casamenti di periferia dove gli esseri umani finiscono per comunicare tra loro più con i rumori che con le parole, e la disperata fame di vita degli anziani. I protagonisti di questo romanzo (cosa abbastanza insolita per un noir) sono quasi tutti anziani.

Quanto ha inciso la sua conoscenza di Roma sulla struttura del romanzo e magari anche sulla caratterizzazione dei personaggi? 

Non saprei scrivere che di luoghi che conosco. Ma questo è un libro profondamente romano non solo per le sue ambientazioni, in gran parte periferiche. A me pare che la città, a causa del clima di sfacelo e di corruzione che oggi vi si respira, finisca ormai per conferire una particolare qualità “nera“ alle vicende che vi accadono. Se Roma, nel dopoguerra, era soprattutto il luogo del farsesco, e del grottesco (basti pensare alla “commedia all’italiana“), oggi a me appare invece come luogo della disillusione, del dramma, della tragedia. E dunque anche per questo motivo Gli Amici del Venerdì è una storia che non poteva che avere Roma come sfondo.

Visto che lei li ha provati entrambi, secondo lei, per il noir è più congeniale il racconto o il romanzo?

Direi senz’altro il romanzo; ma non tanto per l’avversione degli editori italiani (e non solo) verso i racconti, fenomeno peraltro paradossale in questa attuale stagione caratterizzata dalla dittatura della brevità in ogni forma di comunicazione. Il genere noir vive di atmosfere, di ossessioni, di personaggi da scoprire poco per volta nelle loro pieghe più profonde e meno commendevoli. Si tratta quindi di sapori che hanno bisogno di un forte e lungo coinvolgimento del lettore per potersi dispiegare al meglio.

All’inizio del libro è presente una citazione di De La Rochefoucauld che allude ad inganni tra uomini; ormai bisogna rassegnarsi ed essere disillusi? 

L’inganno reciproco di cui parla La Rochefoucauld è una regola senza tempo della convivenza umana. Ho collocato questo pensiero all’inizio del libro perché mi sembrava fotografare alla perfezione la simulazione di rispettabilità che caratterizza gran parte dei i personaggi del romanzo. Lei mi domanda se dobbiamo rassegnarci a questo clima ingannevole. Rispondo che oggi lo vedo ancora più imperante di ieri, per effetto dei cosiddetti social. Essi sono una gigantesca e raffinata forma di inganno collettivo: dando l’impressione di rivelarci tutto l’uno all’altro, finiamo ognuno per accreditare, e distribuire, l’immagine di come vorremmo essere, e non di come effettivamente siamo.

Cosa e chi – a sua discrezione – ha voluto rappresentare tramite il protagonista del libro e la vittima ?

 Il protagonista del libro rappresenta tutti gli esseri umani che trovano con fatica e dolore il coraggio di fare i conti con i buchi neri della propria esistenza. La vittima rappresenta coloro che non si arrendono, e che sono disposti a rischiare pur di strappare ancora qualcosa alla vita.

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