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Rupi Kaur, “È pericoloso pensare che l’amore consista solo nel dare senza ricevere”

Già autopubblicato, "Milk and honey" di Rupi Kaur è stato notato e pubblicato da un editore americano il successo è stato istantaneo e strepitoso

MILANO – “Milk and honey” (tre60) di Rupi Kaur – nata nel Punjab, in India e cresciuta in Canada – è uscito per la prima volta nel novembre 2014, autopubblicato dall’autrice. Quando un editore americano lo ha notato e pubblicato quasi un anno dopo il successo è stato istantaneo e strepitoso, tanto da assicurargli per nove mesi i vertici della classifica del “New York Times” e la pubblicazione in tutto il mondo. Ora le poesie di Rupi Kaur – che parlano dell’amore, della perdita, del trauma, della guarigione e della femminilità – sono arrivate anche in Italia.

“Milk and honey” è prima di tutto un libro che ricorda che nel 2017 fare poesia è ancora possibile e che può avere ancora oggi una grande importanza. È così?

Sono senz’altro d’accordo. Dal mio punto di vista la poesia è un’attività umana che non ha tempo, è qualche cosa di classico, come la pittura. In generale potremmo dire che la scrittura è l’arte del povero, nel senso che chiunque può scrivere, non occorre avere l’appoggio di grandi istituzioni o disporre di grandi mezzi finanziari e del resto è così che io ho cominciato a pubblicare i miei scritti, in modo completamente indipendente. Quando ero ancora una studentessa in Nord America, naturalmente al liceo ho studiato poesia ma a quell’epoca sembrava che la poesia fosse ormai morta, che non avesse più alcuna importanza per la nostra vita. Invece adesso so e vedo che è vivissima.

Il mondo è un luogo confuso, che ci porta a chiamare le cose col nome sbagliato, tanto che a volte scambiamo la rabbia con la bontà. È possibile fare ordine?

Uno dei più grandi problemi di oggi sta proprio nel comunicare i propri sentimenti in maniera autentica, ed è uno dei problemi coi quali io mi confronto quotidianamente. E per quanto riguarda la rabbia, visto che l’ha nominata, credo non sia altro che un sentimento che si situa alla superficie. Penso sia lì per coprire tutta la tristezza che c’è sotto.

Nella prima parte del libro, “Ferire”, spesso viene fuori la paura che può scaturire dai legami affettivi. Come dobbiamo gestire questa paura? Respingerla o sfruttarla?

La prima parte è riferita a una persona più giovane di quella che sono io ora e una persona molto giovane non è in grado né di respingere né di sfruttare la paura, né di metterla a profitto e farne qualche cosa. Per una persona molto giovane questo è molto problematico. Gli adulti, invece, trovano dei modi per prendere questo tipo di sentimenti e sfruttarli. Se vogliamo prendere la questione per il sottile, respingere e sfruttare questo tipo di sentimento finiscono per coincidere.

Definire l’amore è difficilissimo, ma pare che tu ce l’abbia fatta, quando hai scritto che l’amore consiste nel “riversare l’intera anima / il sangue e l’energia / in qualcuno /senza volere / nulla in / cambio. È così?

Sì, ma non è una definizione esaustiva. Certo, l’amore è un sentimento che spero tutti viviamo in maniera incondizionata, il desiderio di essere con qualcuno e rendere questa persona felice, per altro sapendo che non è affatto detto che soltanto perché amiamo qualcuno la nostra relazione debba durare. Ma l’amore non è soltanto questo, perché questa idea d’amore presuppone che l’innamorato sia disposto a dare senza ricevere mai nulla in cambio ma questa mi pare un’idea malsana e dannosa dell’amore.

Un tema che tocchi nelle tue poesie è la differenza, spesso labile, tra desiderio e bisogno. È possibile distinguerli?

Non credo che sia possibile tracciare una distinzione netta tra il desiderio e il bisogno. Ci capita molto spesso di credere di volere, di desiderare qualcosa e per questo crediamo che quello sia un nostro bisogno, una nostra vera esigenza. La mente umana è certamente uno strumento straordinario ma anche molto misterioso e per questo è spesso facile convincersi di avere bisogno di certe cose che in realtà desideriamo soltanto. Quindi no, il cervello è troppo complesso per ammettere una distinzione netta tra le due cose.

Cosa pensi che abbia permesso alle donne di tutto il mondo di immedesimarsi nelle tue poesie?

Le emozioni sono le stesse per tutte le donne, di qualsiasi religione, di qualsiasi cultura. La felicità e la tristezza sono esattamente le stesse, una cosa che trovo molto bella. Quando ho cominciato a scrivere volevo raccontare chi ero – una ragazza nata nel Punjab, in India, e che viveva in Canada – cosa che poteva attrarre le persone che erano nella mia situazione. In realtà, quando visto che le mie poesie erano amate da donne provenienti da qualsiasi parte del mondo, mi sono sentita confusa e sorpresa. Allora mi sono detta che avrei potuto scrivere sia cose che riguardano la mia comunità sia cose che riguardano tutti.

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