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”Ricordare Giovanni Falcone, oltre la retorica”, l’omaggio di Antonio Calabrò

Nel giorno dell'anniversario della strage di Capaci, il pensiero di Antonio Calabrò rivolto a Giovanni Falcone ed a tutti coloro che hanno perso la vita lottando contro mafia e terrorismo

Come e cosa scrivere, in memoria di Falcone e Borsellino? Ricordare il maxi-processo, innanzitutto. Un monumento giuridico. Cominciato il 10 febbraio del 1986, concluso con la sentenza di primo grado nell’autunno del 1987 e confermato in Cassazione all’inizio del 1992 (dopo un tentativo, reso correttamente, giuridicamente, vano, di ridimensionare le condanne in Corte d’Appello).

E’ stato un processo importante. Perché costruito benissimo da indagini accurate d’un pool antimafia voluto da Rocco Chinnici (fu assassinato, nel 1983, proprio per questo), guidato da Antonino Caponnetto e composto da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta, con il sostegno, alla Procura della Repubblica, di Giuseppe Ayala. Indagini ben fatte da polizia, carabinieri e Guardia di Finanza, in piena collaborazione e non in conflitto. Istruito con sapienza e scrupolo cercando prove in dati, fatti, documenti e trovando sempre riscontri alle rivelazioni dei “pentititi” (Tommaso Buscetta e Totuccio Contorno, innanzitutto). Curato, durante le indagini e l’istruttoria, senza fughe di notizia, giochi della ribalta, trucchi mediatici (non di tanti altri processi, dopo, si potrà purtroppo dire altrettanto). E poi gestito in aula con straordinaria competenza dal presidente Alfonso Giordano e dal giudice a latere Piero Grasso (tutti nomi da ricordare: eccellenti servitori dello Stato, uomini di legge e di giustizia): rispetto delle regole, del codice di procedura penale, dei diritti degli imputati e dei parenti delle vittime. Nessuno spazio a manovre dilatorie, pretesti, trucchi delle difese. Ma ascolto delle giuste esigenze poste dagli avvocati difensori. Perché anche una difesa ben costruita e rispettosa delle regole fa parte della buona giustizia. Difendendosi “nel” processo. E non “dal” processo, cercando la scomoda e indecente scappatoia della prescrizione

E’ stato, appunto, un monumento giuridico, quel maxi-processo. In cui lo Stato ha vinto, facendo bene lo Stato, applicando cioè la legge. E la mafia ha perso.

Ricordare dunque il maxiprocesso, studiarlo, prenderlo a esempio di civiltà giuridica e di tecnica processuale (anche adesso che il Codice di Procedura Penale è cambiato) è un buon modo per rendere omaggio a Falcone, a Borsellino e a tutti gli altri uomini e donne dello Stato cui la mafia ha stroncato la vita.

Vale, ancora oggi, quel loro insegnamento. Mentre dilaga un’ ”antimafia” retorica e parolaia, si costruiscono ribalte e carriere di chiacchiere, si irrobustiscono interessi particolari, all’ombra delle dichiarazioni e non dei fatti, su palcoscenici in cui l’antimafia si recita ma non si fa. Tutto il contrario della lezione di Falcone, Borsellino, ma anche di tante altre vittime, Costa, Chinnici, Russo, Terranova, Montana, Cassarà e così via dolorosamente ricordando. Senza enfasi. Con senso della memoria. E dello Stato.

 

Antonio Calabrò

 

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