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Remon, il ragazzo egiziano scampato dalla guerra solo in un barcone che ha commosso l’Italia

La storia tragica, tenera e carica di speranza di Remon raccontata dalla giornalista-scrittrice Francesca Barra

MILANO – Cercare la libertà lontano dalle violenze. E’ questo il sogno di Remon, il ragazzo di origine egiziana che meno di tre anni fa a 14 anni partì dal suo paese da solo a bordo di un barcone destinazione Italia. Un viaggio in mare iniziato il 6 luglio 2013, durato centosessanta ore e raccontato dalla scrittrice e giornalista Francesca Barra all’interno del libro “Il mare nasconde le stelle”. Una storia tragica, tenera e carica di speranza, capace di emozionare l’Italia intera, raccontata in questa intervista doppia all’autrice ed il diretto protagonista.

 

Intervista a Francesca Barra

Perché hai scelto di raccontare proprio la storia di Remon?

Perché la reputo esemplare. Un modello di civiltà. Un esercizio di onestà intellettuale, di umanità. Il sacrificio e il dolore di Remon ci mettono alla prova. Ci fanno confrontare con la scuola, la fede, la generosità.

 

Cosa ti ha colpito di lui?

Remon non tenta di apparire un supereroe. È un adolescente, ha commesso degli errori, aveva dei sogni. Ma sfidato il mare, la solitudine e ha lasciato per sempre il suo Paese per studiare per professare la sua fede. Sono sentimenti e scelte che fino in fondo chi ha il privilegio di vivere una esistenza “normale”, non comprende . Lui mi ha condotta in un mondo distante, differente. E io ho scoperto la formula per equilibrare umanità e integrazione.

 

 

Cosa ci insegna la sua storia?

Che non si può giudicare una guerra. Una situazione di pericolo. Sia essa combattuta con proiettili, che con la fame, la privazione, la violenza e la persecuzione.

Che c’è un mondo di italiani generosi pronti a tendere una mano, che pochi raccontano.

Un esercito silenzioso del fare.

Senza aspettare che le istituzioni ordinino e coordino .

Che la scuola può ancora regalare sogni, ed essere strumento per raggiungere la libertà.

Che non basta accogliere. Bisogna imparare a integrare.

 

Intervista a Remon

Nel libro, tu dici “preferirei morire pur di non dover più compiere quel viaggio”. Ci puoi spiegare il perché di questa frase?

Riflettendo adesso sul viaggio, penso a quanto sono stato incosciente di quello che ho fatto. Avevo 14 anni, e non potevo immaginare le difficoltà, il rischio e quali conseguenze potesse avere quel viaggio. Probabilmente sono stato più incosciente che coraggioso.

Tutti scappano per la guerra o, come nel mio caso, perché perseguitati, nella speranza di trovare nel paese ospitante fortuna, un lavoro, una casa. In poche parole, cercano di avere un futuro e realizzare i propri sogni, cosa che non era possibile nel loro Paese.

 

Come è cambiata la tua vita, una volta arrivato in Italia?

I lati negativi sono stati all’inizio, quando mi sentivo solo perché nessuno mi capiva e non riuscivo a farmi capire a causa della lingua. Oggi, per fortuna, mi sono ambientato grazie ai miei compagni, alla scuola. Mi sento un ragazzo italiano come gli altri. Anche se ci sarà sempre qualcuno che ti critica per le tue origini.

 

Cosa insegna la tua storia, comune a quella di tanti altri?

Lo scopo del libro è quello di far comprendere agli altri quanto sia difficile compiere questo viaggio. Bisogna far capire alla gente che ci sono persone che meritano di essere accolte. La gente deve comprendere quanto sia difficile questa esperienza, lo scopo per cui siamo qui e quello che abbiamo passato. Spero che tutti capiscano non tutti gli immigrati vengono qui per soldi o sono cattivi. Non bisogna essere diffidenti a priori.

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