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Il Premio Nobel Wole Soyinka “Sui migranti occorre un dialogo tra Africa e Europa”

Lo scrittore nigeriano Premio Nobel 1986 per la Letteratura, romanziere di fama mondiale, è a Pordenonelegge per ricevere il premio “La storia in un romanzo"

MILANO – Nell’edizione del decennale, e in un momento cruciale per i rapporti fra Nord e Sud del mondo, lo scrittore nigeriano Wole Soyinka, Premio Nobel 1986 per la Letteratura, romanziere di fama mondiale, poeta e autore di saggi fondamentali sulla cultura e sul mito africani, è a Pordenonelegge per ricevere il premio “La storia in un romanzo”, riconoscimento nato dalla collaborazione tra il festival e il Premio giornalistico internazionale Marco Luchetta. “Ha saputo raccontare il sostrato mitico della realtà africana con la coscienza letteraria di un autore profondamente immerso nella cultura europea novecentesca – recitano le motivazioni del premio – mescolando immagini della millenaria tradizione yoruba e della cultura classica occidentale”. E proprio dalla mitologia parte la conversazione con l’autore nigeriano.

LA MITOLOGIA YORUBA – “ Sono cresciuto  – dice Soyinka – con la mitologia, senza che questa entrasse in contrasto con il mio io razionale. Nella nostra cultura ogni aspetto della vita può essere spiegato facendo ricorso ad elementi mitologici in grado di supportare anche le conquiste scientifiche dello sviluppo umano. Un esempio? L’elettricità che si può spiegare anche con l’intervento di Shango, divinità potente, associata al fuoco e al tuono.  Ma è soprattutto Ogùn dio del ferro e della metallurgia, Esploratore, Artigiano, Dio della Guerra, Guardiano della strada, essenza creativa ad attrarre l’interesse di Soyinka. Ogùn corrisponde ad Apollo, Dioniso e Prometeo.  Tra le sue caratteristiche, si può aggiungere quella di santo protettore dei fabbri, dei meccanici, degli scultori e dei militari; protegge anche dalla febbre e da tutti gli infortuni procurati da metalli. “Nel mondo Orisha  – spiega lo scrittore nigeriano – gli dei sono metafore dell’esistenza umana. Ogùn rappresenta le arti e insieme sentimenti quali la solitudine o la contemplazione. È il dio della giustizia, con il rigore che questa porta con sé. È anche il dio della guerra oltre che della tecnologia, perché ha a che fare col metallo. La sua è una combinazione tra ciò che è pace e ciò che non lo è. Può avere una faccia vitale, violenta, ma una volta l’anno si ritira in montagna e dimostra rimorso, e dunque è una divinità che restituisce e riequilibra, perché rappresenta il dualismo della condizione umana”.

DIALOGO AFRICA EUROPA – Sui progetti narrativi futuri Soyinka è reticente, ma parla invece del Lagos black heritage festival di cui è direttore artistico, che quest’anno chiama in causa direttamente l’Italia e più precisamente Palermo, da cui partirà un ponte reale e metaforico fino in Africa: “Un’occasione – spiega Soyinka – per rafforzare il dialogo e continuare nel percorso di arricchimento reciproco tra le culture. Un grande viaggio a ritroso, seguendo la rotta contraria delle tratte schiavistiche, per testimoniare anche il legame esistente tra l’Africa e la Sicilia che ha dato sepoltura ai nigeriani morti in mare”. E cosi si arriva  a parlare del grande tema delle migrazioni, su cui lo scrittore chiama in causa sia i paesi di origine sia i paesi di accoglienza. “ Le migrazioni – spiega – possono avvenire per motivi economici o per motivi politici, nel caso della povertà e dell’indigenza si tratta di una situazione che per essere risolta ha bisogno oltre che di risorse di molto tempo, nel caso in cui, invece, si fugga da una guerra è una situazione d’ emergenza, si spera di breve durata. In ogni caso la responsabilità spetta a chi – la casta – è al vertice della piramide del potere.” “ Ci sono poi i paesi che accolgono che non possono fare altro se non ricevere chi è in fuga dai paesi del Daesh: non c’è scelta. Non si può agire, come è successo in Australia, bloccando militarmente l’accesso anche perché l’Europa ha una precisa responsabilità: ha depauperato l’ Africa nella colonizzazione, imponendosi militarmente ed economicamente. Un battito di farfalla si dice è in grado di  generare dopo molto tempo una tempesta , ecco, quello che sta succedendo è una sorta di riparazione da parte dell’Europa a quanto fatto nel passato e ora è importante che i due continenti si parlino e collaborino.”

GLI INTERPRETI – L’ Africa un tempo ha sperato di farcela da sola : è quanto emerge da un suo romanzo da poco rieditato da Jaca Book Gli interpreti, dove si narra di un gruppo di giovani intellettuali nigeriani che tentano di fare delle loro vite e del loro talento qualcosa che valga la pena in una società dove corruzione e conseguente cinismo, arrivismo e conformismo danno loro alterne cause di disperazione e di risa. “La mia generazione – dice Soyinka – sentiva di essere l’avanguardia e il Rinascimento del nostro continente, chi collaborava da lontano, chi da vicino. Ma poi, dopo la fine del colonialismo, la prima ondata nazionalista non ha fatto che prendere posto di quelli che se n’ erano andati con gli stessi atteggiamenti colonizzatori e allora ci siamo sentiti il potere sovrumano, del mito, di liberare la nostra società, ma non ci siamo riusciti.”

LA LINGUA INGLESE, UN’ARMA – Ma cosa vuol dire scrivere nella lingua subita dei colonizzatori?  “ Il problema – chiarisce Soyinka – non è solo dell’inglese, ma si pose anche in relazione al portoghese da parte delle ex colonie. In Africa, e particolarmente in Nigeria dove si parlano duecento lingue diverse, viviamo una realtà multilinguistica, la scelta allora  è stata di coesione e di unità, ma anche di usare la lingua come un ‘arma che fosse ben comprensibile a chi ce l’aveva imposta. Davanti alla fredda realtà del potere sta proprio al linguaggio il compito di non recedere e di denunciare l’illegittimità di questo con la lingua vigorosa del rifiuto, sforzandosi sempre di renderlo ridicolo e spregevole, Un tale linguaggio non ha la pretesa di smantellare quella struttura di potere, cosa che in tutti i casi deve essere uno sforzo collettivo”.

Alessandra Pavan

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