Sei qui: Home » Libri » Mauro Corona, “Ecco perché, anche se stessero bene lì, emigrerebbero lo stesso”

Mauro Corona, “Ecco perché, anche se stessero bene lì, emigrerebbero lo stesso”

Ecco l'intervista allo scrittore Mauro Corona. L'autore di "Storia di Neve" racconta perché non fermeremo l'immigrazione. Dobbiamo accoglierli

MILANO – Migliaia di persone stanno cercando di salvarsi, a costo di perdere la vita. Partono, da vari stati dell’Africa, per scappare dalla guerra, dalla povertà, dalla mancanza di lavoro e di possibilità. L’Europa sembra un sogno. Ma l’Unione Europea, per quanto ha mostrato finora, non sembra in grado di gestire il flusso migratorio. Abbiamo chiesto allo scrittore Mauro Corona, molto sensibile all’argomento, qual è il suo parere sulla problematica. Ecco cosa ci ha raccontato

Qual è il suo pensiero sull’immigrazione e su come la stiamo gestendo?

Quando l’ho detto ho attirato le ire di alcuni, di certe linee politiche, anche l’altra sera ho discusso con Toni Capuozzo, perché io ho una linea e lui ne ha un’altra, tutte e due rispettabili. Non è che la mia sia quella giusta. Secondo me non è che affondando le barche (quelle vuote intendo) che si risolve la situazione. Il fatto è che queste persone partono perché non hanno paura di morire. E non partono solo per la guerra, ma partono perché non gli piace più stare lì, partono perché hanno il miraggio dell’Europa. E sarà una cosa che durerà minimo – si segni bene queste parole perché io sarò morto – durerà minimo trent’anni questo esodo, e forse anche di più. Quindi è inutile fare il muro, fare il reticolato, bisogna avere idee. Il problema è che non se ne hanno. Quindi non avendo idee non sanno che pesci prendere e allora bloccano. Bisogna accettare e capire che sarà un mondo multietnico, non solo un’Europa. Ovviamente c’è anche la malavita dentro, però io sono per l’accoglienza, dobbiamo accogliere, o, come dice Erri De Luca, “raccogliere”. Certe scene, come quella della poliziotta che fece lo sgambetto a un papà col figlio in braccio, queste sono scene feroci. Dobbiamo ricordarci che “la guerra siamo noi”, parafrasando una canzone di Francesco De Gregori che dice che “la storia siamo noi, sì, ma anche la guerra siamo noi”. Tante sono però le eccezioni, di bontà ce n’è tanta. Però è proprio in questo momento, quando dovremmo far vedere quanto siamo buoni, che emerge invece quanto siamo cattivi.

Cosa potremmo fare allora secondo lei?

Da dove viene la politica? Viene da un’eredità familiare. Il genitore dovrebbe liberarsi di credi, dogmi, fedi, partiti, credenze, e creare un bambino buono, un bambino tollerante, un bambino caritatevole, mosso da generosità e altruismo. Invece noi trasmettiamo ai nostri figli quello che crediamo sia giusto, e allora lo mettiamo contro il nero. Ma come fa un bambino a crescere bene quando sente il papà che urla “sporco negro” a Balotelli durante una partita in tv, oppure che urla alla mamma “tu stai zitta, non devi parlare”. Ecco che qui si creano gli uomini, i politici e gli spazzini del futuro, che avranno quella credenza, per non dire fede. Quindi quando sarà il momento di accogliere loro diranno: “no, perché mi hanno insegnato così”. Pensano di avere ragione perché nessuno crede, se scaviamo nell’intimo, di avere colpa. Creare un mondo migliore significa lavorare sui bambini. I genitori si devono sempre ricordare delle tracce che lasciano sulla neve fresca dei loro figli e se queste tracce sono sbagliate i loro figli si perderanno o finiranno nei burroni.

Cosa pensa dei politici che si stanno occupando della faccenda?

Bisogna avere buone idee e i politici non hanno altre idee che rubare le idee buone agli altri. Hanno tutti paura del diverso, che gli si rubi il lavoro, che gli si stupri la donna, e quindi si protegge. Dobbiamo renderci conto che siamo tutti uguali. Il sangue dei pesci e degli animali è tutto rosso. Poi questa cosa è capitata di botto, con un numero esorbitante, e quindi si brancola nel buio senza idee. Certo è difficile accettare una persona quando da secoli siamo nel nostro mondo. Nel mio piccolo ho tentato di fare qualcosa: qui c’è un albergo in disuso ma nuovissimo, l’Hotel Erto. Potrebbe ospitare una decina di persone. Con uno stipendio, molti immigrati potrebbero imparare a fare i sentieri, tagliare la legna per i vecchi, accudire chi ha bisogno. Qui le cosa da fare sono infinite, come pulire i torrenti, i ruscelli, e si divertirebbero pure. Bisognerebbe pagarli, non sfruttarli. Quando ho accennato a chi contava di questa idea ho visto subito la ritrosia. Questa è l’ignoranza, non è neanche una colpa, perché è colpa di chi non ha educato. Le colpe vanno indietro, all’età dei trisavoli.

Ora è quindi difficile fare qualcosa. 

Certo, ma le persone non è che le fermi con i muri o coi fili spinati, quelli non hanno paura di morire. Vengono qui. Vengono. E non è neppure possibile fermarli prima che partano. Le faccio un esempio: mettiamo che partano dall’Italia, ammettiamo che l’Africa sia l’Italia. Come facciamo a controllare il confine? Controllare la costa ligure, Viareggio, dobbiamo finire in Sicilia, una linea infinita per poi risalire dall’altra parte, lungo Camaiore e Rimini. Ma come si fa a fare una cosa del genere? Se io blocco Viareggio, partono da Genova o da Trieste. E’ una cosa idiota. Come fa a non farli partire? Ci vorrebbero tutti gli eserciti del pianeta.

E se trovassimo il modo di portare il benessere da loro?

Questo è una questione che mi piace affrontare. Anche se loro stessero bene lì, non cambierebbe nulla perché hanno il miraggio dell’Europa: le coste brillano, gli scintillii, le città, la moda, la possibilità di togliersi il velo. Non è mica esatto farli star bene lì. Non basterebbe, secondo la mia balorda previsione. Per loro venire in Europa è come per noi andare a Las Vegas a giocare o a divorziare. Loro vogliono venire qui, nel luccichio. Anche se li facessimo stare bene lì partirebbero lo stesso.

© Riproduzione Riservata