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Marta Cervino, “La lettura è un’abitudine da coltivare fin da piccoli”

La giornalista di Marie Claire analizza lo stadio dell'editoria oggi, sottolinea l'esistenza di un modo che renda la letteratura e gli autori più familiari

MILANO – Esiste  un modo interessante che renda gli argomenti, i libri, gli autori, la cultura più prossimi, familiari. Parola di Marta Cervino, giornalista di Marie Claire che si occupa di attualità, cultura e libri. Marta Cervino in questa intervista analizza lo stadio dell’editoria oggi, sottolinea l’esistenza di un modo che renda la letteratura e gli autori più familiari alla gente e analizza come sia cambiata la comunicazione oggi ai tempi di internet.

 

Come è nata la tua passione per i libri? Ricordi le tue prime letture?

Devo dire che di libri in casa ne ho sempre visti parecchi e ci ho sempre curiosato in mezzo. Ci sono titoli che se non fossero stati nella libreria di famiglia non credo avrei scoperto: penso a Diario di un giudice di Dante Troisi, Veder l’erba dalla parte delle radici di Davide Lajolo o Non sparate sui narcisi (amatissimo) di Luigi Santucci.  Tra le prime letture che ricordo – e mi ricordo proprio di me sul letto con abat-jour accesa e libro in mano, quando leggo ho sempre l’abate-jour accesa, non do perché – ci sono Winnie Puh di A.A. Milne, i romanzi di Astrid Lindgren – soprattutto Pippi CalzelungheMartina Vacanze all’isola dei Gabbiani (ogni tanto mi punge vaghezza di andare a vedere le isolette dell’arcipelago di Stoccolma poi però faccio marcia indietro perché non saranno mai come me le sono immaginate e allora rinuncio) – e La storia infinita di Michael Ende, quello in edizione rilegata stampato in inchiostro bordeaux e verde che credo adesso abbiano i miei nipoti. Al mio amore per i libri ha contribuito molto mio fratello – ha 8 anni più di me e mi rifilava tomi su tomi – poi per tentativi, curiosità, rimandi ho trovato la mia strada e mi sono emancipata.

 

Ti occupi per Marie Claire di attualità, cultura e libri. In che modo è possibile parlare di libri e in generale di cultura in una maniera che sia accattivante per il lettore?

Non so se esiste un modo accattivante. Esiste secondo me, un modo interessante, nel senso che desti interesse, che renda gli argomenti, i libri, gli autori, la cultura più prossimi, familiari. Un modo in cui chi scrive scompare a vantaggio di quello di cui scrive.

 

La comunicazione è in continua trasformazione, quindi anche quella culturale. Come è cambiata negli ultimi anni?

Be’ a essere cambiato è proprio il mondo. La sensazione, la mia almeno, è che eravamo su un treno regionale e ci siamo ritrovati su una freccia. E inevitabilmente col mondo è cambiata la comunicazione che si è trasformata negli spazi, nei modi, nei tempi. Siamo subissati da un eccesso di informazione: penso ai social, ai blog e alla nostra ansia/gioia/condanna di essere sempre connessi. E in ambito culturale, ai festival, ai reading, agli incontri, al quantitativo di libri che vengono pubblicati… In questo mare magno la capacità di scegliere diventa fondamentale. Dovremmo affinare i nostri strumenti critici – io nel mio lavoro cerco di farlo, non so se sempre ci riesco – per non farci travolgere. E’ tutto veloce, troppo. Ogni cosa  – notizie, libri, fatti, idee, forse anche le emozioni – invecchia, ci stanca, esce dal nostro campo di attenzione. Siamo continuamente sollecitati. Ma la mia impressione è che surfiamo, restiamo sulla superficie: ci ampliamo in orizzontale – come  le ninfee in un lago – poco in verticale. Siamo ansiosi di esserci, in fretta, subito ma dovremmo concederci il tempo di valutare, riflettere, sedimentare, approfondire per capire come esserci e su cosa ha senso esserci.

 

I dati legati alla lettura in Italia sono in leggera ripresa, ma se paragonati al resto dell’Europa siamo uno dei Paesi dove si legge meno. In che modo è possibile attuare questo cambiamento culturale, portando la gente a leggere di più nel nostro Paese?

Se avessi una risposta sensata a questa domanda, probabilmente l’avrei brevettata. Comunque credo che la prima cosa da fare sia ridurre la distanza. C’è ancora una sorta di aura sacrale, una seriosità che emana dalle pagine e rischia di allontanare. Io ancora mi ricordo la pesantezza – spacciata per profondità – la noia mortale, di certe letture scolastiche non tanto per le letture ma per il modo in cui ci venivano proposte, un modo che faceva disamorare. Ora le cose sono cambiate – me ne accorgo guardando i testi di mio figlio che è solo in prima elementare ma ha una giocosità che a noi era quasi vietata per legge. Le scuole su questo lavorano molto, le case editrici collaborano con gli insegnanti, le iniziative si moltiplicano  – le prime che mi vengono in mente, ma solo le prime, sono BookSound- I libri alzano la voce di Marcos y Marcos, o Adotta uno scrittore del Salone internazionale del libro di Torino – si va in biblioteca dall’asilo… Ma quello che penso davvero è che i libri – mi accorgo che per me i libro esistono solo di carta, leggo moltissimo su pdf ma i libri nelle mia testa sono fatti di pagine – vanno manipolati, addomesticati, riempiti di orecchie, sottolineati, ciancicati, portati in borsa, abbandonati, coccolati, trattati come oggetti normali e quotidiani perché sono oggetti normali e quotidiani. A casa mia, come in moltissime altre, ci sono computer, cellulari, fumetti, giornali, libri e passare da uno all’altro è usuale  e vedo che è usuale – anche se io da madre del secolo scorso diffido un po’ della tecnologia e cerco di somministrarla in modo omeopatico – anche per mio figlio. Dovremmo fare in modo che la lettura diventi un’abitudine, un’abitudine coltivata fin da piccoli. Leggere non è e non deve essere un evento eccezionale, ma un’attività che fa parte della vita, una porta che apre mondi, che fa capire meglio se stessi e gli altri, che fornisce strumenti per decodificare la realtà. Leggere non è un dovere, leggere è bello, divertente, appassionante. Se si riuscisse a trasmettere, se io per prima riuscissi a trasmettere, la sensazione di finestre pop up che si aprono nel cervello davanti a certe pagine – ancora mi ricordo quel salto nella buca del Bianconiglio che è stato il passaggio dal primo al secondo capitolo de Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov –  allora credo che si leggerebbe tutti molto, ma molto, di più.

 

 

 

 

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