PORDENONE – Lawrence Osborne è nato in Inghilterra nel 1958 e ha studiato Lingue moderne a Cambridge e Harvard. Ha vissuto a Parigi, a New York, in Messico, a Istanbul e a Bangkok, dove attualmente risiede. È stato per molti anni corrispondente del «New York Times Magazine» e collaboratore di numerose testate americane: «The New Yorker», «Harper’s», «Financial Times» e «Newsweek» e altre, dove ha scritto di scienza, medicina, viaggi e costume. Cacciatori nel buio, pubblicato nel 2016 in Inghilterra, esce ora per Adelphi ed è stato presentato a Pordenonelegge
UN THRILLER ESISTENZIALE – Una vincita insperata in un casinò sul confine tra la Cambogia e la Thailandia, e Robert, un giovane insegnante inglese in vacanza, decide di non tornare più al torpido grigiore del Sussex. Resta in Cambogia come barang a tempo indeterminato: uno dei tanti espatriati occidentali che «cacciano nel buio», cercando la felicità in un mondo che non potranno mai comprendere appieno e che di solito li trascina alla deriva. E anziché la chiave d’accesso a una nuova vita, quella vincita si rivelerà l’innesco di una reazione a catena destinata a coinvolgere un americano elegante, un poliziotto dal lugubre passato e la rampolla di un ricco cambogiano. “Cacciatori nel buio” è il gioco del gatto col topo, ricco di colpi di scena e tanto più inquietante perché immerso in una terra di foschie, risaie, calura umida e piogge opprimenti, di fatiscenti architetture coloniali e templi inghiottiti dalla giungla – mentre su tutto aleggia la «natura nascosta» di Phnom Penh, solo apparentemente immemore dell’Anno Zero della Rivoluzione dei Khmer Rossi.
VIVERE IN THAILANDIA – Quanto c’è di autobiografia nel romanzo? “Anch’ io – esordisce Osborne – amo vivere in luoghi dove non conosco nessuno e dove non ho relazioni. Mi piace il senso di spaesamento iniziale e il tempo che ci vuole per orientarsi. Vivo in Thailandia ed ho scelto questo luogo perché posso vivere la mia vita da scrittore in forma anonima; inoltre è un luogo senza cultura letteraria e questo, da un certo punto di vista, ha molti vantaggi perché consente maggiore libertà. Il romanzo prende l’avvio dal confine tra Thailandia e Cambogia, un luogo magico di passaggio tra un mondo ormai occidentalizzato e un orizzonte non ancora urbanizzato; “la Cambogia ha un profilo cupo e anche tragico, ma ancora inesplorato – dice lo scrittore inglese – un po’ come la Polinesia di Gauguin”.
L’UOMO ANIMALE MIGRATORIO – “Ho conosciuto la Cambogia per la prima volta – continua – quando venni mandato da Vogue per scrivere il reportage sul processo contro un comandante dei khmer rossi, accusato di genocidio e per tre mesi nel tribunale, costruito come un tempio, avevo da una parte a pochi metri di distanza il responsabile e dietro a me i familiari delle vittime. Lì ho conosciuto uno dei pochi sopravvissuti, risparmiato perchè in grado di rappresentare attraverso i suoi dipinti quello che stava succedendo”. Tra le suggestioni paesaggistiche e la storia delle sevizie del regime di Pol Pot nasce il romanzo che è costituito in larga parte più che da una trama da descrizioni paesaggistiche, eppure ne risulta una critica spietata al mondo occidentale: “Un mondo in fuga – dice Osborne – il potere si sta spostando verso est e l’occidentale fugge, perchè si sente spiazzato. E non ho dimenticato che, come dice Chatwin, l’uomo è un animale migratorio”.