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La storia della donna che si innamorò di uomo violentemente dolce

Una storia, questa di Stefania Bertola, sul femminicidio, su una forma malata di amore - sempre che di amore si possa parlare

MILANO – Le apparenze – lo sappiamo tutti – molto spesso ingannano. Eppure tendiamo a scordarci piuttosto facilmente che la realtà sia diversa da come ci ostiniamo a immaginarla. Ed è proprio di questo che parla Stefania Bertola nel racconto “La Coca Cola fa male”, contenuto nell’antologia “L’amore non c’entra” (Miraggi), curata da Silvia Tesio. L’autrice di “Ragazze mancine“, che ci ha concesso di pubblicare il suo racconto su Libreriamo –  narra una storia sul femminicidio, su una forma malata di amore – sempre che di amore si possa parlare. Però quest’uomo è così “spaventosamente tenero, affettuoso, disponibile” e “atrocemente premuroso, gentile, attento”, com’è possibile che sia violento?

LA COCA COLA FA MALE

Stefania Bertola

 

Questa è la storia di un uomo violentemente dolce.

Spaventosamente tenero, affettuoso, disponibile.

Atrocemente premuroso, gentile, attento.

Quando lo conosco, contro ogni logica e apparenza mi fa paura. E’ calmo, seriamente sorridente. Eppure lo guardo, e condivido le sensazioni di Cappuccetto Rosso di fronte al lupo travestito da nonna.

Questo lupo qui non ha denti lunghi, bocca grande, orecchie pelose, zampe artigliose. Ha soltanto gli occhi, lunghi grandi pelosi artigliosi.

Mirko è seduto nella mia cucina, con sua moglie che si chiama Oxana, e che conosco da un po’. Lui è torinese, lei ucraina. Sui trent’anni, tutti e due. Lui bruno, lei bionda. Lei è sola, qui. Lui ha la mamma, qui,  e che mamma! Una mamma che fa tutto per lui, mamma mammina la notte si avvicina.

Sono passati a trovarmi, è una giornata estiva calda, nel mio frigo c’è acqua, birra, coca cola fresca, mmmhh che buona la coca cola fresca con una fetta di limone, volete?

Oxana sta già dicendo si con gli occhi e con un piccolo movimento della testa, ma Mirko la precede.

“No, grazie, prendiamo soltanto un po’ d’acqua.”

Prendiamo? Non conosco questo verbo.

“Tu, Oxana? Vuoi un po’ di Coca?”

“Eh, mag..”

“No, grazie, davvero, Oxana non beve Coca Cola. La coca Cola fa male.”

A questo punto, fosse per me, verserei un bel bicchierone di Coca a Oxana, ma lo so che non è educato fare a botte con un ospite in casa tua, e quindi vai con l’acqua, e con la conversazione spicciola.

Oxana vive a Torino da anni, ha studiato, si è laureata, lavora, ha conosciuto Mirko. L’ha sposato, e adesso non le resta che diventare una brava ragazza italiana, sposata con un bravo ragazzo italiano. E lei ci prova. Sembra convinta che una docile e meditata accondiscenza sia la via maestra alla felicità. Ha a disposizione carrettate di fiducia, ed è ben decisa ad amministrarle, come un fertilizzante, al suo matrimonio. Prima richiesta di suo marito: trasferirsi da Torino a una cittadina  nel canavese. E osservate, vi prego, con quanta grazia Oxana  lascia senza un sospiro le amiche, i circoli culturali, le case editrici, i corsi, il lavoro per i russi e gli ucraini a Torino. D’altra parte, come dire di no a Mirko se Mirko ha ragione? Le ha spiegato che l’aria di Torino è sporca, brutta, piena di tram e fumi e cose non biologiche.

La Coca Cola fa male, l’aria di città fa male.

Ma non sempre riusciamo a essere all’altezza delle nostre aspettative. Con il passare dei mesi, vengo a sapere che Oxana non sta diventando proprio  una brava moglie italiana. Mirko fa capire a noi amiche, con un sorriso molto tollerante, che si è preso una brutta gatta da pelare. Ma lui la pelerà, oh se la pelerà.

Tanto per cominciare, Oxana insiste proprio a essere ucraina. Non c’è verso. Cucina la shuba, sul frigo tiene un magnetino di Kiev, e appena può parla al telefono  in ucraino o in russo. E Mirko non capisce cosa dice, accidenti. Nessun controllo.

Quando sua mamma viene a trovarla, come due streghe bisbigliano sillabe incomprensibili. Mirko si dispiace, si sente tagliato fuori, il suo cuore sputa sangue. Ma è così talmente troppo buonissimo che non dice niente, e lascia che la mamma stia quanto vuole. Ha altri problemi più spinosi, più affilati, lame e lamette che tagliano via strisce di bontà dal suo dolce carattere.

Infatti Oxana ha purtroppo mantenuto i suoi lavori in città, e spesso lascia la cittadina e torna in quel postaccio dove la gente fuma. Oxana si sposta con l’autobus e il treno. Macchina? Macchina niet, perchè non ha la patente. Mirko non vuole che prenda la patente, andare in macchina è pericoloso, e lui la ama tanto, vuole avere cura di lei, farla vivere come una regina.

La patente fa male, l’aria di città fa male, la Coca Cola fa male.

E così  Mirko non ci mette molto a capire che per aiutare Oxana a trasformarsi definitivamente in una felice moglie italiana è meglio portarla via anche da quella cittadina da cui è tanto facile raggiungere la grande città. In fondo, neanche l’aria della cittadina e poi così buona. C’è aria migliore, altrove.

Eccola qui, l’aria migliore! E’ nel paesino. Dalla città alla cittadina, dalla cittadina al paesino, questo è il percorso che con tanto amore Mirko fa compiere a Oxana, e che con tanto amore Oxana accetta di compiere. Paesino piccolino, non c’è niente, non c’è il pullman che porta a Torino, non c’è il treno, ma c’è tanta felicità domestica!

Noi amiche andiamo a trovare Oxana, per festeggiare una bellissima notizia, e cioè che fra qualche mese nascerà il suo bambino.  Mirko ci accoglie raggiante. Come mai è a casa di pomeriggio, Mirko? Non lavora? Si, lavora, ma appena può sta a casa, per tener compagnia a Oxana.

“ Visto come stiamo bene qui? Ho comprato un bosco un po’ fuori dal paese, costruirò la nostra casa, isolata, isolatissima, non vogliamo nessuno fra i piedi VERO AMORE? E anche per il bambino sarà meraviglioso, aria pura, bosco, VERO AMORE? Oxana è contentissima,” dice Mirko a noi amiche, offrendoci con la sua solita generosità gelati e bibite e dolci, perchè non importa se le amiche mangiano cose che fanno male, cazzi loro quelle stronze. “Oxana è contentissima perchè può lavorare, fa le sue traduzioni e le manda via mail, non ha più bisogno di andare a Torino, VERO AMORE? Ci andiamo ogni tanto a trovare mia mamma, ma per il resto stiamo tanto bene qui… E ci sono tante opportunità per lei.. Pensate che il mese prossimo c’è la festa locale.. si rievoca un episodio della guerra, dei partigiani, e hanno offerto a Oxana di interpretare una parte….”

Perchè con tutti questi sorrisi, gelati e partigiani, in questa casa mi sento come se la mia gabbia toracica avesse perso due taglie? Anche l’altra amica, boccheggia un po’. Oxana ci accompagna alla macchina, e dice che lei la parte nelle rievocazioni partigiane non la vuole fare. Quello che lei vorrebbe sarebbe prendere la patente, avere una macchina, andare ogni tanto a Torino al cinema, a teatro, alle conferenze, all’Università.  E noi amiche comprendiamo che la gatta non è stata ancora completamente pelata. Ci ricordiamo del suo conterraneo Taras Bulba, e della sua intemerata resistenza ai polacchi, così educati, eleganti, gentili.

“ Come finirà?” chiede l’altra amica.

“Che lei avrà il bambino e non potrà muoversi più per niente.” rispondo, ingrugnita.

E il bambino nasce, molto sano e molto bello. Mamma e papà sono felici, lo amano, tutto va per il meglio, Oxana non pensa più alla cultura, per il momento, e Mirko è un despota benevolo, per il momento. Unico problema, è arrivata nonna Anja ad aiutare Oxana e a conoscere il nipotino, e a Mirko non piace lo stile ucraino della nonna ucraina. E non piace oggi, non piace domani, un bel giorno la nonna se ne torna a casa sua. Spontaneamente? Mica tanto, ma così è la vita delle nonne ucraine le cui figlie hanno sposato un tenero ragazzo italiano. E’ meglio senza di lei, no? Dice Mirko. Meglio io, te e il nostro bimbo, nella nostra casetta nel paesetto senza nessuno intorno noi tre soli soli che bello e per fortuna mi sono anche messo part time così stiamo tanto insieme. Meglio, meglio, dice Oxana e piange, perchè si sente sola, perchè qui non ha nessuno, perchè le sue amiche, a Kharkiv, hanno mamme sorelle amiche cugini vicine di casa, e lei ha soltanto Mirko.

Ah, l’amore di un lupo dolce. L’amore vorace del lupo gentile, che ti dà tutto a patto che tu non voglia nient’altro. E se vuoi qualcos’altro? Se vuoi qualcos’altro, tipo una vita tua, se stai troppo su Skype in lingue che non comprendo, se canti al tuo bambino nenie cirilliche, se trovi comunque modo di scappartene ogni tanto a Ivrea pur di vedere una libreria, se se se, allora mi dispiace MA

ma sono urla e botte, spaventi e porte chiuse a chiave, persone allontanate e bugie sparpagliate, se vuoi qualcos’altro ti faccio vedere io, brutta gattaccia che non ti lasci pelare.

Oxana che fa, allora, se ne va? Eh si, se ne va. Prende su bambino e bagagli, baracca e burattino, e si rifugia da una delle amiche. Quella dotata di un marito in grado di NON aprire una porta. Il lupo bussa, bussa, soffia, soffia, ma la casa degli amici non è fatta di paglia, non è fatta di legno, è fatta di mattoni e cemento, e resiste.

Ma sapete come vanno queste cose, lo sapete vero? Lo sapete, che Oxana torna a casa. Che si riparte insieme con tanta speranza, di nuovo felici, di nuovo innamorati. E lo sapete che sarà costretta ad andarsene di nuovo. E va e torna, va e torna, va e torna, perchè si ha paura a restare, e si ha paura ad andare, e quando la scelta è soltanto fra due diverse paure, non è facile per niente. Ma alla fine scegliere bisogna, se non si vuole essere tragicamente scelte, e così arriva la volta che Oxana se ne va e non torna.

Sorvoliamo sui carabinieri, le denunce, le minacce. Sorvoliamo su mamma Anja che torna, grazie all’aiuto degli amici,  sorvoliamo su tribunali, avvocati, servizi sociali, protezione, alloggio sotto sorveglianza, movimenti limitati, bambino spaurito. Sorvoliamo, perchè alla fine, col passare dei mesi che diventano un anno, Mirko e Oxana si separano. Cioè, Oxana si separa da Mirko, ma Mirko non ha nessuna intenzione di separarsi da Oxana, perchè tutto può sopportare questo uomo così violentemente dolce. Spaventosamente  tenero, affettuoso, disponibile. Atrocemente premuroso, gentile, attento. Tutto, ma non che Oxana non abbia bisogno di lui. Lui che l’ha sposata, cioè, rendiamoci conto. Ha preso una ragazza sperduta arrivata in Italia e l’ha resa una moglie, una cittadina italiana, una madre. Prima aveva soltanto due lauree e poi quelle cose utili solo se rivolte a fini coniugali: intelligenza, bellezza, sensibilità.

E adesso questa gattaccia molestata ma ancora Taras Bulba vive in una monocamera con sua madre e suo figlio, sorvegliata dai servizi sociali, ma contenta, perchè lavora, si muove, è padrona della sua vita. E allora che si fa, per pelarla finalmente a sangue ?

Si fa che un pomeriggio Mirko va a trovare il figlio secondo le regole stabilite dal tribunale, ma invece di portarlo a spasso ai giardinetti, nella città in cui vive, lo prende su e se lo porta a casa sua, nel paesino. E quando è ora di restituirlo, e Oxana va all’appuntamento, all’appuntamento non c’è nessuno. Vi spaventa la sola idea? Ma certo, spaventa anche me. Spaventa chiunque abbia mai avuto o sognato di avere un figlio. Questa è la noce di tutte le paure: il bimbo, la bimba, non c’è. Dov’è? Dov’è?

E’ col suo papà, che problema c’è? Nella casetta nel paesetto. Piange? Poverino. Vuole la mamma? Che peccato. Bussano alla porta i carabinieri? E basta non aprire. Dire che non sta bene, il bimbo, deve riposare. Sciò.

Come può finire questa storia, secondo voi? Si, certo, questa volta i carabinieri recuperano il bimbo, si, okay, il tribunale emette l’ordine restrittivo, ma può un ordine restrittivo fermare un papà che vuole tanto bene a suo figlio? Figuriamoci!

E gli avvocati, cosa dicono? Ah ah ah, gli avvocati. E i tribunali, le istanze, le udienze, gli incontri in zona protetta, gli orari, le minacce, la paura, le maestre dell’asilo che non sanno se al papà glielo possono dare, il bimbo. No! Che non possono. Ma perchè, è una persona tanto cara. E le lettere, i soldi, gli appostamenti, i ricatti, i ritardi. E allora sai che c’è?

C’è che seguitemi.  Seguitemi vi prego in una notte buia… è primavera, ma fa ancora freddo. Seguitemi in un giardino nel centro della città, da dove partono i camion che portano i pacchi in Romania, in Moldavia, in Ucraina. Pacchi che chi è qui manda a chi è rimasto lì. Dolci, vestiti, giocattoli, lettere, un bimbo, olio, caffè, una mamma, ferri da stiro, scarpe, una nonna, forni a micro onde, parmigiano.

Lungo è il viaggio, grandi i rischi, tante le frontiere, forte il batticuore, dolce l’arrivo a casa, dove un nonno felice accoglie i tre pacchi speciali che gli arrivano dall’Italia. Lieto fine? Insomma. Abbastanza. Perchè un anno dopo, una sera, qualcuno bussa alla porta di una casa in una cittadina dell’Ucraina. Non aprire, Cappuccetto Rosso!

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