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“La città interiore” di Mauro Covacich, un labirinto di storie a Trieste

Trieste è per Mauro Covacich "La città interiore": questo il titolo del suo nuovo libro, edito da La nave di Teseo, che lo scrittore ha presentato in anteprima a Trieste e poi a Udine, Gorizia e Pordenone

TRIESTE – Qualche anno fa era “ sottosopra”,  ora Trieste è per Mauro Covacich La città interiore: questo il titolo del suo nuovo libro, edito da La nave di Teseo, che lo scrittore ha presentato in anteprima a Trieste e poi a Udine, Gorizia e Pordenone. accompagnato dagli Zois che hanno rivisitato in chiave rock le canzoni triestine tradizionali da Sergio Endrigo a Lelio Luttazzi con un’ incursione finale su Nino Rota e la sua “Canzone arrabbiata” perché “scrivendo questo libro – ha detto l’autore – ho scoperto la mia anima proletaria”.

L’OPERA – E dal profondo dell’anima è partita l’ispirazione per quest’opera che definire romanzo è riduttivo, perché è anche reportage, autobiografia, saggio politico ed è soprattutto tutti questi generi insieme. A partire da una città, la sua, amatissima, dove,  per dirla con Calvino, “l’occhio non vede cose ma figure di cose che significano altre cose” . Una città che ha la proprietà di restare nella memoria punto per punto , storia dopo storia.  Una città capace di rifare se stessa, un tempo asburgica e mitteleuropea, poi terra di confine, ora – dice lo scrittore – “potrebbe essere un laboratorio permanente sull’odio perché italiani e sloveni hanno imparato ad accettarsi e a convivere”.  Ma il romanzo-documentario è anche l’occasione per scavare sul proprio vissuto: “Finalmente – dice lo scrittore – ho trovato le risposte che cercavo da tanto tempo”.  Risposte sulla sua identità personale, in quanto nato italiano ma con un cognome slavo che originariamente dove avere una k al posto della c iniziale e con due nonni ideologicamente contrapposti.

STORIE DI PERSONE E UN SOLO PERSONAGGIO: TRIESTE – Ma dal romanzo di formazione si passa, attraverso una narrazione che si allarga a cerchi concentrici, ai grandi della città da Italo Svevo a James Joyce passando attraverso anche nomi dimenticati come Pier Quarantotti Gambini o Fulvio Tomizza con incursioni nella storia e nella musica grazie a  Pino Robusti e ad Antonio Bibalo.  “Sono storie di persone, non di personaggi –tiene a precisare lo scrittore – che in questo libro sono numerosi come numerose sono le vicende raccontate , unificate alla luce della geografia interiore dell’autore. Forse il solo vero personaggio del romanzo, come spesso succede nella letteratura di questa città, è proprio Trieste, presenza palpabile, viva, carnale che da città esteriore è assimilata nel vissuto di chi scrive, anche nella forma espressiva che dovrebbe essere il dialetto.

LA SCELTA LINGUISTICA: ITALIANO E DIALETTO –  “I miei pensieri andrebbero tutti espressi in dialetto – scrive nel romanzo Covacich – evito di farlo solo per non appesantire il testo più del necessario, ma i triestini pensano così e sarà solo al terzo anno di permanenza fuori città che una mattina mi alzerò dal letto sconvolto per aver sognato in italiano”. Italiano alternato a dialetto dunque per indagare tra le pieghe della sua città a partire, in parallelo, dalla memoria del padre bambino nel ’45 e dal ricordo di Mauro  a sette anni dell’attentato a Trieste del ’72 per risalire fino a un oggi  articolato e confuso, di fronte al quale lo scrittore non si arrende mai e cerca sempre, con curiosità solerte ed inquieta, una interpretazione lucida in prima persona, che però non dimentica mai la bellezza del mondo, fatta di innumerevoli piccole cose.

 

Alessandra Pavan

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