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Jan Brokken, “Nel mio libro racconto come Dostoevskij è diventato l’autore che tutti conosciamo”

Lo scrittore olandese Jan Brokken ne "Il giardino dei cosacchi" racconta della profonda amicizia che legò Dostoevskij e Alexander von Wrangel

TORINO – Nel 1849 Fëdor Dostoevskij è a San Pietroburgo davanti al plotone d’esecuzione, accusato di un complotto contro lo zar. Solo all’ultimo secondo viene risparmiato dalla morte e deportato in Siberia. Ed è proprio in Siberia che Dostoevskij incontra il ventenne Alexander von Wrangel, barone russo di origini baltiche, nominato procuratore della città kazaca. Tra i due nasce un’amicizia speciale, un’amicizia che salverà la vita a quello che sarebbe diventato l’autore di “Delitto e castigo” e “I demoni“. Ed è proprio di questi anni e di questa amicizia che parla lo scrittore olandese Jan Brokken ne “Il giardino dei cosacchi” (Iperborea). Uno scrittore grande e appassionato, che con fervore ci ha parlato di quel monumento alla letteratura che è Dostoevskij e del suo ultimo romanzo.

Come mai ha deciso di parlare di un periodo della vita di Dostoevskij prima che diventasse Dostoevskij, scrivendo le opere che l’hanno reso noto in tutto il mondo?

Non avrei mai immaginato di scrivere un romanzo su Dostoevskij, certamente non riguardo a quel periodo della vita dello scrittore russo. Ma alla fine è capitato, per pura fortuna. Quando ho scritto “Anime baltiche” ho inserito in quel libro un ritratto della famiglia von Wrangel, famiglia che è rimasta molto colpita dal volume. Quando poi il libro è uscito mi hanno chiamato e mi hanno detto che avevano qualcosa che forse poteva interessarmi. Un nostro bis-bis-bis nonno era Alexander von Wrangel, un amico di Dostoevskij, mi hanno detto. Abbiamo delle lettere e delle memorie in cui Alexander parla della sua amicizia con Dostoevskij durante gli anni in cui sono andati insieme in Siberia. Io ero molto incuriosito, così mi hanno dato una copia delle lettere e delle memorie e le ho fatte tradurre a un buon traduttore. Quando le ho lette un anno dopo ho subito pensato di scrivere della loro amicizia. Così ho letto tutte le biografie che ho trovato su Dostoevskij e le 3000 pagine delle sue lettere. Così mi sono immerso nella sua vita di tutti i giorni, nel suo modo di scrivere, nel suo modo di pensare. Ma al centro del romanzo c’è la loro amicizia.

Che tipo di amicizia è quella tra Alexander von Wrangel e un amico di Dostoevskij?

Era un’amicizia molto profonda, tra due persone in difficoltà e molto diverse tra loro, perché Dostoevskij era già un autore conosciuto e Alexander aveva undici anni in meno dello scrittore. Ma Dostoevskij era in una situazione davvero complicata dopo l’accusa infondata, dopo i quattro anni nei campi in Siberia. Quando si incontrarono per la prima volta proprio in Siberia Dostoevskij era malato, sporco, senza vestiti. Ma, intellettualmente, Dostoevskij era un giovane famoso scrittore e Alexander era un ventunenne nel pieno delle forze. C’erano delle differenze ma anche delle convergenze. Alexander aiutò Dostoevskij a venir fuori da quella situazione, lo ospitò nella sua dacia, divennero molti amici, soprattutto intellettualmente. Dostoevskij non parlava tedesco, mentre Alexander sì, essendo bilingue (parlava sia russo che tedesco) e lo ha insegnato all’amico. Leggevano giornali politici insieme. Alexander era in contatto con dei criminali che Dostoevskij volle intervistare, era molto incuriosito da loro. Si chiedeva come si spiegassero i crimini, se si sentissero in colpa o no. Di tutto questo discuteva con Alexander e scrisse in “Delitto e castigo”. Lasciata la Siberia, Alexander fece di tutto per permettere la liberazione di Dostoevksij, liberazione che avvenne alla fine, dopo dieci anni dall’arrivo dello scrittore russo in quelle terre estreme. Tornato a San Pietroburgo potè riprendere a pubblicare i suoi romanzi, cosa che non aveva potuto fare negli anni di confino.

Cosa sarebbe successo a Dostoevskij se non avesse incontrato Alexander in quegli anni in Siberia?

Sarebbe stato proprio difficile sopravvivere, mentalmente e fisicamente. Alexander è stato il giusto amico, nel momento giusto, al posto giusto.

Quanto è diverso il Dostoevskij delle lettere dal Dostoevskij dei romanzi?

Nelle lettere è estremamente onesto. I romanzi sono finzione, usa parti della sua vita ma sono romanzate. Per esempio molti pensano che l’idiota dell’omonimo sia Dostoevskij stesso ma io non ne sono così sicuro. Da un certo punto di vista i romanzi mostrano il miglior Dostoevskij ma per altri versi mostrano il peggior volto dello scrittore russo, quanto cattive possano essere le persone, quanto strane possano essere, quanto idiote possano essere, quanto violente possano essere. Tutti tratti della persona di Dostoevskij nei romanzi sono ingigantiti. Alexander era una persona molto interessante, instabile e capace di esternare grandi emozioni. Dostoevskij lo considerava la persona più interessante che avesse mai incontrato. D’altra parte, Dostoevskij era alla continua ricerca dei suoi soggetti, così spesso intervistava Alexander, lo interrogava sui delitti, sui castighi, sui lati oscure delle persone, sull’amore, sulle donne, sulla donna ideale. Tutto quello che uscì da questi dialoghi era estremamente moderno, soprattutto se consideriamo che siamo cinquanta o sessant’anni prima di Freud. Dostoevskij psicoanalizzava tutto e tutti. Li ho trovati molto moderni. Certo, sono romanzi di metà Ottocento ma preannunciano il Novecento. Estremamente moderno è anche il suo modo di tratteggiare i personaggi femminili, tant’è che secondo me può essere considerato il primo femminista della storia. Voleva sapere come pensassero le donne, come agivano le donne. Era molto moderno.

Veniamo alla situazione della Russia nel XIX secolo. Tanti capolavori della letteratura sono stati scritti in tempi di oppressione e di mancanza di libertà. Qual è secondo lei il rapporto tra creatività e libertà?

In Russia non c’è mai stata libertà, non c’è mai stata la stampa libera, non c’è mai stata la democrazia, non c’è mai stato un parlamento. L’unica controparte all’autorità e al potere è stata l’arte, la letteratura, la poesia, la musica. La situazione ancora oggi non è diversa. Tra il potere e la cultura c’è sempre stato uno scontro violento. Dostoevskij, per esempio, è stato condannato, ha passato dieci anni in Siberia. Aveva 28 anni quando ha lasciato la città e ne aveva 38 quando è tornato, i migliori anni per uno scrittore. E lo stesso è successo a Shostakovich, che ha combattuto per dieci o vent’anni o trent’anni contro contro il governo ai tempi del comunismo. E non c’è alcuna differenza tra la Russia zarista, la Russia bolscevica o la Russia di Putin. Fondamentalmente non c’è differenza, perché non c’è mai stata libertà. Quale forma di libertà l’hanno mostrata solo gli artisti, anche se spesso ne hanno pagato le conseguenze.

Spesso nei suoi libri ha parlato della Russia. Cosa la affascina tanto di quel paese?

Sa, l’altro giorno parlavo proprio di questo con il mio amico Youri Egorov (protagonista de “La casa del pianista“). Parlavamo della  famosa sinfonia di Tchaikovsky intitolata “Pathetique”, un termine che per noi ha un’accezione negativa. In quell’occasione il mio amico Youri mi ha rivelato che per i russi “patetico” è un aggettivo estremamente positivo. Se un russo ti dice che sei una persona patetica ti sta dicendo che sei una persona molto buona, capace di provare grandi sentimenti. Io penso che spesso ci facciamo un’idea sbagliata dei russi, non li capiamo, non capiamo la mentalità loro mentalità, non capiamo perché sono come sono. Sa, una volta ho fatto in treno dalla Cina a Mosca in treno, un tratto sconfinato, un tratto nel quale cambiano otto fusi orari. In questo viaggio ho capito quanto sia ampia la Russia, quante culture la abitino, è un continente intero suddiviso tra Europa e Asia. Tutto è eccessivo in Russia, tutto è patetico, nell’accezione che i russi assegnano a questo termine.

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