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Il racconto memorialistico “Vannuzzu” di Giancarlo Poidomani: quando la storia si incontra con la vita di uno straordinario uomo semplice

Il critico Alessandro Centonze, consigliere della prima sezione penale presso la Corte di Cassazione, recensisce "Vannuzzu", racconto biografico del nonno di uno storico importante dell'Università di Catania, Giancarlo Poidomani

Giancarlo Poidomani è uno storico importante che insegna storia contemporanea presso l’Università di Catania.

Nell’ultimo ventennio, Giancarlo Poidomani ha compiuto ricerche storiche di grande rilievo scientifico, occupandosi di studiare i temi della costruzione dello Stato italiano a partire dall’unificazione sabauda e dedicando una particolare attenzione al territorio siciliano, anche forte delle sue origini – siciliane e modicane – rivendicate con orgoglio.

In questa direzione, solo per citare alcune tra le sue opere più importanti,  occorre richiamate i suoi studi monografici intitolati “Fare l’Italia. Destra e Sinistra (1861-1887)” del 2012; “Senza la Sicilia l’Italia non è nazione. La destra storica e la costruzione dello Stato (1861-1876)” del 2009; La Repubblica a Mezzogiorno. Gruppi dirigenti e potere locale in provincia di Ragusa (1953-1960)” del 2013.

Il riferimento all’esperienza di storico contemporaneo di Giancarlo Poidomani è indispensabile per comprendere il senso dell’operazione narrativa compiuta con la pubblicazione della sua ultima fatica editoriale, presso la Casa editrice Prova d’Autore di Catania, intitolata “Vannuzzu. Una storia di vita, di guerra e di prigionia”. Con quest’opera, infatti, il nostro Autore ci consegna una storia, a metà strada tra il racconto memorialistico e la biografia, vivida e appassionante, nella quale la grande storia del ventesimo secolo si incontra con la vita di un uomo semplice ma straordinario, quella di suo nonno Giovanni Poidomani, detto “Vannuzzu”, donde il nome dell’opera che stiamo commentando.

Con il suo “Vannuzzu” Giancarlo Poidomani, oltre ad avvincere il lettore con una trama avvincente, porta a compimento, con successo, un’operazione intellettuale estremamente complessa, in cui si intersecano due piani narrativi differenti, quello familiare e quello storico; in questo secondo segmento narrativo, a sua volta, si inserisce un filone narrativo parallelo, rappresentato dalla ricostruzione dell’ambiente modicano in cui il protagonista del racconto, fatta eccezione per il lungo periodo della prigionia (1942-1946), ha sempre vissuto, fino alla sua morte.

Il racconto si sviluppa in tre parti narrative, sulle quali occorre soffermarsi separatamente.

La prima parte della narrazione racconta della nascita di Giovanni Poidomani, avvenuta in una Modica quasi irriconoscibile ai nostri occhi nel 1912 e prosegue, attraverso il matrimonio con la moglie Maria Minardo, celebrato nel 1936, fino al 1940, quando il protagonista viene richiamato alle armi, nonostante i suoi due figli e l’imminente arrivo di un terzo figlio, per essere spedito, dopo un breve addestramento sul fronte africano.

Questa prima parte del racconto descrive la vita difficile del protagonista, un muratore che rimane orfano del proprio genitore in tenerissima età, che affronta le difficoltà quotidiane di una Sicilia ostile ai ceti più poveri, tanto è vero che Vannuzzu, tra i 14 e i 15 anni, andava ad abitare da solo, in una casa ubicata in uno dei tre quartieri della sua città, Modica Alta, al quale il nostro protagonista, ma anche Giancarlo Poidomani, rimane sempre legato, affettivamente e abitativamente.

Le difficoltà del vivere quotidiano di Vannuzzu vengono spezzate dal servizio militare svolto a Pola, cui si deve la bellissima fotografia della copertina del romanzo pubblicato da Prova d’Autore, che costituiva per il nostro protagonista, come per tanti altri siciliani della sua generazione, un’importante occasione di formazione e di “italianizzazione”.

Questa parte del racconto mostra echi letterari non dichiarati ma evidenti, in parte legati a Vincenzo Rabito , in parte legati a Carlo Levi, in parte legati alle straordinarie narrazioni belliche di Emilio Lussu, che consentono al lettore di comprendere quanto fosse difficile la vita di un operaio edile modicano della prima metà del secolo scorso; difficoltà che, oggi, appaiono quasi incomprensibili alle nuove generazioni, non solo siciliane, che Vannuzzu Poidomani affronta con grande dignità, grazie al prezioso contributo della moglie, vera e propria coprotagonista della narrazione.

La secondo parte del racconto riguarda la prigionia patita da Vannuzzu dopo la sua cattura conseguente alla battaglia di Tobrk del 21-22 gennaio 1941; prigionia svoltasi per una parte, fino all’inizio del 1944, in territorio africano, dapprima ad Alessandria d’Egitto e successivamente a Zonderwater in Sudafrica; per una parte, in Gran Bretagna, a Bury, nel Lancashire, dove Vannuzzu rimarrà detenuto fino al 1946.

Questa parte centrale del romanzo di Giancarlo Poidomani tratta distintamente la prigionia africana da quella inglese, affrontate nel secondo e nel terzo capitolo; distinzione che, come ci spiega l’Autore, si rendeva necessaria, attesa la diversità delle condizioni di prigionia patite da Vannuzzu nei due periodi, parallelamente all’evolversi del conflitto bellico nel quale la nostra nazione risultava tragicamente coinvolta.     

La parte centrale di questa narrazione è un vero e proprio capolavoro e rivela l’eccezionale valore di ricercatore di Giancarlo Poidomani, il quale riesce a ricostruire le condizioni di prigionia del nonno senza utilizzare i suoi racconti – essendo il progenitore restio, come tutti i prigionieri di guerra, a parlare di questa sua tragica esperienza personale – attraverso i documenti storici lungamente cercati e attentamente esaminati dall’Autore. In questo modo, il racconto ci descrive in modo accurato le condizioni detentive patite da Vannuzzu in questi interminabili sei anni, fornendoci un ulteriore spaccato della vita del suo congiunto, nel più ampio scenario della disfatta bellica che precedeva la sua cattura dopo la battaglia di Tobruk; disfatta bellica causata dall’impreparazione dell’esercito italiano, ricostruita con grande accuratezza dall’Autore che si sofferma diffusamente su tali profili nelle pagine 28-37 del suo splendido racconto.

Nonostante il rigore scientifico impiegato da Giancarlo Poidomani per ricostruire questa frazione misconosciuta della vita del nonno, non mancano momenti descrittivi che commuovono il lettore, come nel prologo del terzo capitolo, contenuto a pagina 38, immergendolo in un’atmosfera di drammaticità che sembra avere accompagnato Vannuzzu per tutta la prima parte della sua prigionia, accompagnata da una sete inesauribile, il cui ricordo non avrebbe mai abbandonato, per il resto della sua vita, il nostro protagonista. Di questa sete inesauribile l’Autore racconta: «A mia nonna e a mia mamma la sete di mio nonno nel deserto è rimasta impressa ed era una delle cose che mi raccontavano più spesso quando, a distanza di anni dalla scomparsa di mio nonno, chiedevo notizie di seconda mano della sua esperienza di prigionia. Evidentemente era la cosa che raccontava sempre a moglie e figli per sottolineare le sofferenze patite, soprattutto nella prima fase della prigionia in Africa».

La terza parte del racconto racconta il reinserimento di Vannuzzu nel tessuto sociale modicano già cambiato dal disastro bellico italiano e, di lì a poco, in procinto di cambiamenti ancora maggiori, in concomitanza con la nascita dello Stato repubblicano, sui quali Giancarlo Poidomani si sofferma con l’accuratezza di uno storico di vaglia, senza mai dimenticare il filo conduttore del suo racconto, rappresentato dalla vita di suo nonno.

Vannuzzu, dunque, arriva in una Modica già diversa da quella che aveva lasciato, il cui cambiamento viene descritto con impareggiabile maestria storico-narrativa da Giancarlo Poidomani, che ricostruisce lo scenario politico e professionale nel quale il nonno si trovava a operare nel secondo dopoguerra, miscelando la storia della sua città – fatta di lotte sindacali e politiche che sembrano appartenere a un tempo lontanissimo, ma che distano da noi di appena un cinquantennio – con quella della famiglia del proprio congiunto che, come il resto del ceto operaio siciliano, esce dalle condizioni di disagio economico in cui era vissuto per approdare a un benessere sempre crescente.

Nel frattempo, in parallelo allo sviluppo democratico del Paese e della città del nostro Autore – ricostruito attraverso il richiamo a memorabili figure politiche modicane come Virgilio Failla ed Emanuele Gurrieri – la famiglia di Vannuzzu migliora le sue condizioni di vita, aprendo, grazie all’intraprendenza della moglie del protagonista, una merceria in corso Vittorio Emanuele a Modica, di cui, in appendice, troviamo ritratto uno scorcio suggestivo nella fotografia n. 11, che ritrae i coniugi Poidomani e la figlia Lucia.  

In questo contesto, più che la ricostruzione degli avvenimenti storici e politici modicani, che pure Giancarlo Poidomani descrive in modo incomparabile, mi piace richiamare uno dei passaggi decisivi dell’esistenza di Vannuzzu, costituito dall’acquisto di un piccolo appezzamento di terreno nella meravigliosa campagna modicana, che suggella il definitivo superamento delle difficoltà del vivere quotidiano degli operai siciliani e, probabilmente, il coronamento di un sogno personale del nostro protagonista, rispetto al quale l’Autore, con pudore, si limita a tratteggiare il contesto nel quale maturava tale compravendita.

Quanti hanno ricordi dell’attaccamento alla propria campagna dei nostri progenitori siciliani, non possono non commuoversi di fronte a questo passaggio della vita del nostro protagonista, quasi verghiano, che testimonia il passaggio a una condizione di agiatezza economica di Vannuzzu, ancora una volta descritto con toni mirabili da Giancarlo Poidomani nelle pagine 79 e 80 del suo splendido racconto. Di questo benessere Vannuzzu, purtroppo, non avrebbe goduto a lungo, morendo a causa di un ictus il 18 agosto del 1977, dopo essersi sentito male il 12 agosto dello stesso anno.

La conclusione della vita di Vannuzzu Poidomani costituisce un ricordo indelebile di Giancarlo Poidomani, così descritto, con il pudore a cui ci si abitua nel corso dell’opera, dall’Autore: «Infine, mi ricordo quando si sentì male, il 12 agosto del 1977, e qualcuno (forse mia madre) mi disse di chiamare dall’altra parte della casa qualcun altro (forse mio padre) perché il nonno si era sentito male. Arrivò l’ambulanza e lo portarono all’ospedale. Aveva avuto un ictus, una trombosi, come si diceva allora».

 

Consiglio a tutti i lettori di Libreriamo di immergersi nella lettura di questa straordinaria opera narrativa, da cui trarranno emozioni intense che non li accompagneranno per lungo tempo.

 

 

Alessandro Centonze

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