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Grazia Deledda, le frasi e le citazioni più celebri

Il 27 dicembre 1871 nasceva la scrittrice Grazia Deledda. Celebriamo questa grande donna con le frasi più belle ed emozionanti

Il 27 settembre 1871 nasceva Maria Grazia Deledda, una grande donna e scrittrice che ha indubbiamente lasciato il segno nel mondo della letteratura italiana e internazionale.

Per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano.

Questa è la motivazione per cui nel 1926 Grazia Deledda vinse il Premio Nobel per la Letteratura, unica donna italiana ad essere stata insignita dal prestigioso riconoscimento.

Il Premio Nobel a Grazia Deledda fu conferito a Stoccolma il 10 dicembre 1927, benché nominalmente il premio si riferisse all’anno 1926 (quando, però, non fu assegnato a nessuno).

Le frasi più belle di Grazia Deledda

Ci sono molte donne che vivono nel ricordo di un amore fantastico, e l’amore vero è per esse un mistero grande e inafferrabile come quello della divinità.

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Il matrimonio d’amore è il matrimonio di Dio, quello di convenienza è il matrimonio del diavolo.

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L’amore è quello che lega l’uomo alla donna, e il denaro quello che lega la donna all’uomo.

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Il cuore le si sbatteva dentro quasi avesse messo le ali e anelasse a volar via.

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Le più grandi cose si dicono in silenzio. Guarda la luna.

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Il rimedio è in noi” sentenziò la vecchia. “Cuore, bisogna avere, null’altro…

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La vita passa e noi la lasciamo passare come l’acqua del fiume, e solo quando manca ci accorgiamo che manca.

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Infanzia!… È forse questa una parola magica e misteriosa, un geroglifico orientale, inteso indistintamente dall’anima, dalla mente, dal cuore, nei quali desta ricordi soavi, dolcissimi, benché sfumati tra le nebbie del passato, e sorrisi vagolanti e dolci come quei ricordi, e sussulti di rimpianto e dimenticanze del presente?

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Tutti siamo impastati di bene e di male, ma questo ultimo bisogna vincerlo.

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Possibile che non si possa vivere senza far male agli innocenti?

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E come i bambini ed i vecchi si mise a piangere senza sapere il perché, – di dolore ch’era gioia, di gioia ch’era dolore.

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I santi, Nostra Signora e Gesù stesso in persona pigliano spesso viva partecipazione in molte leggende sarde. Non c’è Madonna che non abbia la sua storia, e quasi tutte le chiese, specialmente le chiesette di campagna, le piccole chiese brune perdute nelle pianure desolate o nei monti solitari, e che hanno l’impronta delle costruzioni pisane o andaluse, sono circondate da una tradizione semplice o leggendaria.

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La famiglia ricomposta? Il vaso rotto riattaccato col mastice, incapace a contenere più il liquido: aria soltanto.

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.Se vostro figlio vuole fare lo scrittore o il poeta sconsigliatelo fermamente. Se continua minacciatelo di diseredarlo. Oltre queste prove, se resiste, cominciate a ringraziare Dio di avervi dato un figlio ispirato, diverso dagli altri.

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Ho vissuto coi venti, coi boschi, con le montagne. Ho mille volte appoggiato la testa ai tronchi degli alberi, alle pietre, alle rocce per ascoltare la voce delle foglie; ciò che dicevano gli uccelli, ciò che raccontava l’acqua corrente;…ho ascoltato i canti e le musiche tradizionali e le fiabe e i discorsi del popolo, e così si è formata la mia arte, come una canzone od un motivo che sgorga spontaneo dalle labbra di un poeta primitivo.

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Mettiti sull’orlo del mare, e conta e conta tutti i granelli della terra: quando li avrai contati saprai che essi sono un nulla in confronto degli anni dell’eternità.

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Sentivo i suoi passi, dietro di me, come quelli di un bambino; mi raggiunse mi toccò lievemente col muso per avvertirmi ch’era lì, e come per chiedere il permesso di accompagnarmi. Mi volsi e gli accarezzai la testa di velluto; e subito ho sentito che finalmente anch’io avevo nel mondo un amico.

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Egli sentì le labbra di lei bagnate di lacrime lasciargli sulle dita come l’impronta di un fiore umido di rugiada.

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Doveva essere bello nelle sere d’inverno stendersi sulle stuoie davanti al fuoco di tronchi, e ascoltare la voce della foresta in colloqui selvaggi col vento.

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Da una muraglia nera una finestra azzurra vuota come l’occhio stesso del passato guarda il panorama melanconico roseo di sole nascente.

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Il vento leggero che stormiva nei boschi, lontano, gli sembrava una voce confusa, ora dolce, ora paurosa. Che diceva? che diceva il vento? Che mormorava la selva? Egli avrebbe voluto sentir distinta quella voce, e si angosciava, s’inteneriva, s’irritava, non riuscendovi.

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“Ma perché questo, Efix, dimmi, tu che hai girato il mondo: è da per tutto così? Perché la sorte ci stronca così, come canne?”
“Sì”, egli disse allora, “siamo proprio come le canne al vento, donna Ester mia. Ecco perché! Siamo canne, e la sorte è il vento.”
“Sì, va bene, ma perché questa sorte?”
“E il vento, perché? Dio solo lo sa”.

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Mutiamo tutti, da un giorno all’altro, per lente e inconsapevoli evoluzioni, vinti da quella legge ineluttabile del tempo che oggi finisce di cancellare ciò che ieri aveva scritto nelle misteriose tavole del cuore umano.

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Solo le foglie delle canne si movevano sopra il ciglione, dritte rigide come spade che s’arrotavano sul metallo del cielo.

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Ah, per questo non amo neppure tornare laggiù; mi pare che ci ho lasciato qualche cosa e che non la ritroverei più…

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“Adattarsi bisogna» disse Efix versandogli da bere. “Guarda tu l’acqua: perché dicono che è saggia? perché prende la forma del vaso ove la si versa”.
“Anche il vino, mi pare!”
“Anche il vino, sì! Solo che il vino qualche volta spumeggia e scappa; l’acqua no”.
“Anche l’acqua, se è messa sul fuoco a bollire”, disse Natòlia.

“E le mie padrone? Non s’accorgono?”
“Loro? Sono come i santi di legno nelle chiese. Guardano, ma non vedono: il male non esiste per loro”.

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Efix mangiava e raccontava, con parole incerte, velate di menzogna timida; ma quando ebbe gettato le briciole e il fondo del bicchiere sul pavimento, – poiché la terra vuole sempre la sua piccola parte del nutrimento dell’uomo, – si drizzò un po’ sulla schiena e i suoi occhi si circondarono di rughe raggianti.

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Del resto tutti nella vita siamo così, in carcere, a scontare la colpa stessa di esser vivi.

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I pensieri di lei si ritirano nel loro nascondiglio più segreto: nessuno al mondo deve saperli, e questo non tanto per orgoglio quanto perché lei ama la sua anima come la sua casa, che tutto sia in ordine, pulito, chiuso nelle casse, appartenente a lei sola.

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Intendo ricordare la Sardegna della mia fanciullezza, ma soprattutto la saggezza profonda ed autentica, il modo di pensare e di vivere, quasi religioso di certi vecchi pastori e contadini sardi (…) nonostante la loro assoluta mancanza di cultura, fa credere ad una abitudine atavica di pensiero e di contemplazione superiore della vita e delle cose di là della vita. Da alcuni di questi vecchi ho appreso verità e cognizioni che nessun libro mi ha rivelato più limpide e consolanti. Sono le grandi verità fondamentali che i primi abitatori della terra dovettero scavare da loro stessi, maestri e scolari a un tempo, al cospetto dei grandiosi arcani della natura e del cuore umano…

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Siamo il regno ininterrotto del lentisco, delle onde che ruscellano i graniti antichi, della rosa canina, del vento, dell’immensità del mare. Siamo una terra antica di lunghi silenzi, di orizzonti ampi e puri, di piante fosche, di montagne bruciate dal sole e dalla vendetta. Noi siamo sardi.

Il video del discorso pronunciato da Grazia Deledda al Premio Nobel 

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