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Grammatica di un esilio, il gesto concreto della scrittura di Atiq Rahimi

A Pordenone è stato presentata in anteprima l’ultima fatica di Atiq Rahimi, Grammatica dell’esilio nell’ambito del festival Dedica di cui lo scrittore afghano è protagonista

PORDENONE – A Pordenone è stato presentata in anteprima l’ultima fatica di Atiq Rahimi, Grammatica di un esilio (Bottega Errante) nell’ambito del festival Dedica di cui lo scrittore afghano è protagonista. In un dialogo con il giornalista e scrittore Paolo Di Paolo, Rahimi racconta come è nata quest’opera. Kabul : “le mie piccole dita tremanti sul calamo mentre sento le urla belluine del maestro e sono impegnato a scrivere la  Aleph ,vocale lunga, la prima lettera dell’ alfabeto”. Questo è il piccolo Atiq che, da adulto,  spiega : “La mia generazione è piena di cicatrici, dovute sia al  filo degli aquiloni  sia ai calami per la calligrafia,  appuntati per essere mezzi di scrittura, un’arte , quella della calligrafia ,che si sta perdendo in Occidente”. Ed , invece, proprio il gesto concreto e materiale del segno sulla carta è l’origine di Grammatica dell’esilio.

 

 La ballade du calame

Aleph è la forma più semplice e sembra quasi un essere umano in piedi : un solo tratto  e diventa la misura di tutte le altre lettere. Dal semplice gesto di Atiq bambino scaturisce la meditazione lirica su cosa significa la scrittura nella sua vita, una biografia nel senso più concreto possibile. Vita legata all’esilio e a molti luoghi: Afghanistan , India, Francia . “ Nel 1978 – racconta lo scrittore – ho raggiunto mio padre e poi mi sono fermato alcuni anni lì ed ho imparato l’ hindi e l’inglese, sempre ancorato al gesto concreto dello scrivere. Ancora adesso scrivo a mano e  tengo carte e calami” . Non per niente il titolo originale di quest’opera è La ballade du calame, nata in un modo avventuroso che lo scrittore racconta al pubblico di Dedica: “ Sin da bambino sono vissuto  ai margini della realtà e ho sempre tenuto un taccuino in cui truccavo per il matrimonio ogni lettera, abitudine che ho conservato anche in esilio. Ebbene proprio questo taccuino è diventato Grammatica dell’esilio”.

 

La dura condizione dell’esilio

Esilio che potrebbe derivare da exile, distruzione o da ex solum fuori dal suolo, ma Rahimi ricorre a un aneddoto per spiegare la sua personale etimologia: “ Una sera in un vicolo una persona sta cercando le chiavi di casa ed è subito circondato da persone che lo aiutano e che gli chiedono dove potrebbero essere. Sono a casa mia , risponde l’uomo , ma lì non c’è luce. Ecco l’esilio è proprio la ricerca delle chiave perdute”.  Una condizione, quella dell’esilio in cui diventa drammatico riconciliarsi con ciò che lo ha determinato. “ E’ proprio vero quello che disse Ovidio, exul sul Mar Nero – commenta lo scrittore- si lascia alle proprie spalle il corpo , ma non lo spirito e conciliare le due entità crea un abisso, incolmabile”. Allora si cerca di trasfomare il dolore e uno degli strumenti diventa la callimorfia senza alcun scopo narcisistico, un incompiuto che spiega l’indeterminatezza della condizione spirituale dell’esule.

 

La funzione salvifica della poesia

Attraverso il gesto del segno che va oltre le lettere, per mezzo della callimorfia, l’autore ha voluto dimostrare la libertà libertà corporale, il lasciarsi alle spalle, come dice Ovidio , il proprio corpo interdetto, mutilato,  stremato in una terra, la sua, che diventa fghanistan con l’aferesi della A, cioè terra di urlo e di lamento” Perché – spiega Rahimi – tutte le guerre sono precipitate su di noi e la poesia presente in ogni angolo del paese è l’unico nostro rimedio.  “Nel sud del paese – racconta lo scrittore- anche le donne  più povere ed analfabete improvvisano una sorta di haiku in due versi, andando a lavare i panni, che recita cosi: Posa le tue labbra sulle mie, ma lascia la tua lingua libera per dire ti amo”. La poesia è l’unica salvezza.

 

 

Alessandra Pavan

 

Photocredits: Luca A. D’Agostino/ Phocus Agency

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