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Giuseppe Catozzella, “Aver paura dei migranti significa aver paura di noi stessi”

Un messaggio di apertura e di accoglienza quello lanciato dallo scrittore e giornalista vincitore del Premio Strega Giovani nel 2014 con il libro "Non dirmi che hai paura"

MILANO – Non dobbiamo avere paura dei migranti perché noi siamo un popolo di migranti che dalla seconda metà dell’800 fino agli anni Venti del ‘900 e nel secondo dopoguerra si è sempre spostata, esportando decine di milioni di migranti in tutto il mondo. Un messaggio di apertura e di accoglienza quello lanciato dallo scrittore e giornalista Giuseppe Catozzella, vincitore del Premio Strega Giovani nel 2014 con il libro “Non dirmi che hai paura“, opera che appunto tratta il tema dell’odissea dei migranti dall’Etiopia al Sudan e, attraverso il Sahara, alla Libia, per arrivare via mare in Italia.

 

Un italiano su due ha paura dei migranti. Da cosa dipende?

Sicuramente è dovuto da un lato da un fattore obiettivo:  per la prima volta nella storia dell’Italia, un Paese uscito dalla povertà e da una condizione rurale solo 50 anni fa, stiamo ricevendo gli stranieri. Gli italiani sono sempre stati un popolo di migratori, lo siamo tuttora (solo l’anno scorso abbiamo esportato più italiani rispetto a quanti stranieri sono arrivati qui), ma non siamo un popolo abituato a ricevere. La gente quindi si trova ad affrontare un fenomeno che non ha ancora visto.

Questo dato oggettivo è alimentato da una comunicazione mediatica molto violenta e di parte, non obiettiva. Ciò che sostanzialmente i mezzi di comunicazione fanno è dipingere lo straniero come un problema, un invasore. Ciò si va ad inserire in una condizione economica e sociale del nostro Paese abbastanza disastrosa: basta guardare il tasso di disoccupazione.

 

Cosa si può fare per capovolgere la situazione e far comprendere la realtà agli italiani? In particolare, quale contributo può dare la letteratura?

Questo è uno dei compiti dell’arte e della letteratura, ovvero quella di cercare di risvegliare, far vedere la realtà da un altro punto di vista, di smascherare la narrazione che solitamente è affidata ai grandi mezzi di comunicazione, sostanzialmente la televisione. Cercare di smascherare i buchi, le falle, le menzogne delle propagande die grandi mezzi di comunicazione, questa narrazione uniformata della realtà in cui siamo immersi, non obiettiva. La letteratura può fare esattamente l’opposto, può permettersi di raccontare la realtà da un altro punto di vista, ed è quello che ho fatto io nei miei libri, come in “Non dirmi che hai paura”: ho raccontato la storia di una migrante dal punto di vista di una migrante, con l’ambizione folle di far immedesimare il lettore occidentale con un migrante. C’è stato proprio il ribaltamento della prospettiva, ed e ciò che solo l’arte e la letteratura possono fare, ovvero rompere la narrazione uniformata, di regime di telecomunicazione, con dietro delle motivazioni politiche.

 

La distanza tra Oriente ed Occidente, tra Islam ed Europa, è dovuto anche alla poca conoscenza che si ha di cosa è veramente l’Islam e cosa dice il Corano? 

E’ esattamente così. Basti pensare a ciò che nella narrazione ufficiale non viene mai detto, ovvero che ebraismo, cristianesimo ed islam sono la stessa religione, sono le tre religioni del libro, i tre libri (la Torah, la Bibbia ed il Corano) sono sostanzialmente lo stesso libro con gli stessi protagonisti. Questo per dire che non siamo affatto tradizioni religiose e culturali così differenti, ma veniamo dalla stessa identica matrice. Lo stesso significato della parola Islam è “pace”. Ci sono trasmissioni televisive terrificanti, che fanno propaganda bassissima e vanno a colpire l’elettorato medio, che spacciano l’equazione tra Islam e guerra, invasione, violenza. Basterebbe parlare con un immigrato musulmano solo per fargli qualche domanda sulla sua religione, per capire che la matrice pacifista dell’Islam è testimoniata da ogni credente di quella religione.

Ciò che si vuole far credere è che ci sia un grande invasione minacciosa. Ciò lo si fa credere alle persone per governarne i voti, perché cavalcare la paura è facilissimo: si crea un nemico, questo nemico incute paura, e ci si propone come soluzione di un nemico e di una paura creati a tavolino. Da una parte, quindi c’è un tornaconto a livello politico, dall’altra c’è un disegno politico molto più grande: gli stati occidentali europei e gli Stati Uniti hanno deciso che non può più accogliere un numero maggiore di migranti.

 

In sintesi perché, quindi, gli italiani non dovrebbero avere paura dei migranti, in generale dello straniero?

Perché siamo “stranieri” noi, siamo un popolo di migranti, che dalla seconda metà dell’800 fino agli anni Venti del ‘900 e nel secondo dopoguerra si è sempre spostata, abbiamo esportato decine di milioni di migranti in tutto il mondo. L’anno scorso sono stati più gli italiani migrati fuori dal nostro Paese piuttosto che il numero di migranti entrato in Italia, perché nel nostro Paese non c’è lavoro. Aver paura dei migranti significa aver paura di noi stessi.

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