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Giovanni Falcone, l’omaggio di Francesca Barra agli uomini della sua scorta

In occasione dell'aniversario della scomparsa di Falcone, la giornalista Francesca Barra rivolge una dedica alla sua scorta condividendo un estratto del libro "Giovanni Falcone un eroe solo"

MILANO – «L’uomo non trionfa mai del tutto, ma anche quando la sconfitta è totale quello che importa è lo sforzo per affrontare il destino e soltanto nella misura di questo sforzo si può raggiungere la vittoria nella sconfitta». In occasione dell’aniversario della scomparsa di Giovanni Falcone, la giornalista Francesca Barra rivolge una dedica al giudice eroe ed alla sua scorta condividendo un estratto del libro “Giovanni Falcone un eroe solo“, scritto con Maria Falcone e dedicato agli uomini della scorta, anche loro per troppi anni chiamati soltanto “scorte”.

 

“Della scorta di Giovanni rimasero illese quattro persone: l’autista giudiziario Giuseppe Costanza, che quel giorno sedeva dietro Giovanni, e gli agenti Paolo Capuzzo, Gaspare Cervello e Angelo Corbo, che si trovavano a bordo dell’auto blu.

Morirono gli agenti che si trovavano nell’auto davanti a quella di Giovanni: Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani.

Erano tutti giovani.

Rocco Dicillo aveva da poco compiuto trent’anni; era originario di Triggiano, in provincia di Bari. Scortava Giovanni dal 1989.

Montinaro non aveva ancora trent’anni. Lasciò la moglie Tina e due figli: il più grande aveva quattro anni; al secondo, di un anno e mezzo, aveva dato il nome Giovanni. Montinaro era il caposcorta e aveva instaurato un rapporto particolare con mio fratello, che lo aveva voluto con sé a Roma. In un’intervista rilasciata poco prima di morire, alla giornalista che gli aveva chiesto cosa fosse il coraggio per un uomo come lui che faceva parte della scorta di un magistrato in continuo pericolo, Antonio aveva risposto che chi fa questo mestiere ha sempre la possibilità di scegliere fra la vigliaccheria e la paura: «La paura è qualcosa che tutti abbiamo. Chi ha paura sogna, ama, piange. È un sentimento umano. La vigliaccheria non deve rientrare nell’ottica umana. Come tutti gli uomini io ho paura. Non sono vigliacco. La paura nella mia posizione è lasciare i bambini soli.

Per un uomo sposato la paura si gestisce in virtù della propria famiglia. Si ha paura di non avere la capacità di morire per una ragione valida. […] In Italia ci si dimentica delle famiglie dei poliziotti uccisi». Quasi quotidianamente, ricorda la moglie, parlava della morte: «Il giorno che accadrà mi verrai a raccogliere con un cucchiaino». Ma era comunque allegro, vivace.

Vito Schifani aveva ventisette anni; era nato a Ostuni, aveva un bambino di pochi mesi e una moglie, Rosaria, di cui tutti ricordiamo il discorso durante il funerale.

A vent’anni di distanza, ancora non riesco a commentare questi fatti. Perciò mi piace concludere prendendo a prestito le parole da Ernest Hemingway: «L’uomo non trionfa mai del tutto, ma anche quando la sconfitta è totale quello che importa è lo sforzo per affrontare il destino e soltanto nella misura di questo sforzo si può raggiungere la vittoria nella sconfitta».”

 

Francesca Barra- Tratto dal libro “Giovanni Falcone un eroe solo”

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