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Gian Antonio Stella, “Con Falcone e Borsellino è iniziato il declino di un certo tipo di mafia”

La toccante testimonianza del giornalista del Corriere della Sera Gian Antonio Stella in occasione dei 25 anni dalla strage di Capaci dove perse la vita Giovannni Falcone

MILANO – Abbiamo raccolto la toccante testimonianza del giornalista del Corriere della Sera Gian Antonio Stella in occasione dei 25 anni dalla strage di Capaci dove perse la vita Giovannni Falcone.

“L’assassinio di Giovanni Falcone, di sua moglie e della scorta rappresentò per la mafia un salto di qualità che pagò però a caro prezzo perché allora cominciò il suo declino. Essa esiste ancora ed è pericolosissima, però rispetto a quando fu assassinato il giudice molto è cambiato.

Quel giorno ero in Jugoslavia per la guerra civile. Erano gli albori di un massacro. Eppure la notizia di Capaci spazzò via giustamente tutto il resto. Era netta la sensazione di un passaggio epocale, per la Sicilia. Il giorno dell’uccisione di Borsellino lo ricordo ancora meglio perché arrivai subito lì, Palermo. La sera i ragazzi per le strade piangevano come fosse morto un loro parente, piangevano per la disperazione di vivere in una Sicilia che non riusciva a cambiar e resta indimenticabile il modo in cui accolsero tra lacrime e insulti l’auto dell’allora procuratore, accusato di non avere combattuto abbastanza la mafia.

Fu un momento molto duro, molto doloroso. Le stragi del 1992 hanno segnato l’inizio di un percorso ancora da concludere, ma comunque importante. L’assuefazione alla violenza mafiosa non esiste più.

Tanti anni fa Giuseppe Alessi, fondatore della Democrazia Cristiana siciliana e poi presidente della Regione, mi raccontò che Giulio Andreotti gli aveva chiesto se Salvo Lima fosse o no mafioso e che lui gli aveva risposto “Come faccio a risponderti? Se parliamo di un portamento, di spagnolesche cortesie, di un certo tipo di rapporto col potere e la clientela, Lima è sicuramente mafioso. Se mi chiedi se è un delinquente ti rispondo di no”. Una risposta che oggi sarebbe molto più complicata da dare. Oggi c’è più difficoltà a stare nella terra tra mafia e antimafia.

La mafia ci ha insegnato anche in quegli anni a stare in guardia, che la pace non è mai acquisita. Vorrei che non si dimenticasse, mentre parliamo di Falcone e insieme anche di Borsellino, la figura di Antonino Caponnetto, determinante nel tenere alta l’attenzione sul tema della mafia e delle complicità.

Dopo la morte di Giovanni Falcone, ricordo l’albero piantato di fronte alla casa del giudice che diventò un simbolo della legalità, coperto ogni giorno da foglietti con messaggi, lettere, disegni. Ricordo il fastidio che dava quell’albero ad alcuni. Dopo l’attentato di Borsellino ricordo le reazioni diverse di due parti di Palermo. Di qua lo strazio, di là il disinteresse totale tra troppa gente che girava per i mercati rionali. E’ cambiato molto da allora, per fortuna; all’inizio si attivarono in particolare gli studenti, gli intellettuali, i ragazzi più politicizzati. Oggi è davvero diverso. Una certa cultura della legalità si è radicata nel profondo”.

 

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