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Donatella Di Pietrantonio “Ecco perché ho vinto il Premio Campiello”

A dialogare con l'autrice vincitrice del Campiello Gianmario Villalta, direttore della manifestazione e il professor Lorenzo Tomasin a rappresentare una delle tre giurie

PORDENONE – Una storia toccante e commovente in cui due livelli di società umanamente e socialmente molto diverse, una ancorata al passato e l’altra protesa nella modernità, si fronteggiano.  Questo lo scheletro essenziale de L’Arminuta (Einaudi) di Donatella Di Pietrantonio che ha recentemente vinto il Premio Campiello e che ha partecipato alla prima serata di Pordenonelegge.  A dialogare con lei Gianmario Villalta , direttore della manifestazione e il professor Lorenzo Tomasin a rappresentare una delle tre giurie del Premio.

COINVOLGIMENTO EMOZIONALE – Come spiega appunto Tomasin, oltre alla giuria tecnica che valuta i requisiti per l’ammissibilità dei testi e quella formale dei letterati , di cui lui ha fatto parte per la prima volta, esiste una giuria popolare di trecento giurati selezionati in tutta Italia. E la prima domanda alla neovincitrice parte proprio da questo. “Quali sono i motivi che hanno spinto i giurati ad apprezzare L’Arminuta? “Credo – risponde Donatella Di Pietrantonio – anche da quello che ho percepito nei molti incontri con i lettori, che ci sia stato un coinvolgimento a livello emozionale sia nei confronti della protagonista sia nei confronti della sorellina Adriana”. Emozione che diventa angoscia perchè i lettori vengono tenuti fino alla fine all’oscuro dei motivi per cui l’Arminuta sia stata restituita dalla famiglia adottiva a quella biologica di cui ignorava l’esistenza. Per giustificare anche a se stessa questo atto terribile, la protagonista si costruisce una favola: in realtà la madre adottiva compie un  atto d’ amore: la ama al punto da preferire di riportarla nel nucleo originario non potendo più farlo.

SOLUZIONE LINGUISTICA – E’ una regressione per l’Arminuta anche dal punto di vista linguistico perchè si ritrova a parlare il dialetto. Nel romanzo però  non c’è mai il dialetto in presa diretta e la soluzione linguistica scelta dall’autrice – rivela Tomasin – è stata molto apprezzata dalla giuria dei letterati. “Come é nato questo impasto? “ L’ editore mi ha lasciata libera – spiega Donatella Di Pietrantonio – il lavoro sulle due lingue é un compromesso:  quando ho iniziato a sgrossare i personaggi della famiglia biologica ho capito che l’italiano non poteva funzionare. La povertà dell’ambiente non è solo di cibo, ma anche lessicale: nel dialetto abruzzese, ad esempio, non esiste il termine innamorarsi  che è usato solo per le pecore o non esistono i pronomi personali: esso si usa sia per persone che per animali e cose. C’è un solo personaggio secondario che parla esclusivamente  in dialetto ed è una maga che vive sotto un albero : un omaggio a Marquez e ai suoi Cent’anni di solitudine.

L’ABRUZZO REMOTO – L’Abruzzo di cui si parla nel libro è quello degli anni ‘ 70 e a qualcuno è sembrato anacronistico. “In realtà – spiega la scrittrice – io stessa ho vissuto questa realtà arretrata, determinata sostanzialmente da motivi geografici: da una parte la città costiera ( Pescara, anche se mai nominata esplicitamente nel romanzo) aperta ai traffici e alle opportunità, dall’altra, nell’interno, piccole realtà dove, quand’ero ragazza,  non c’erano strade ma sentieri  e si viveva isolati dal resto del mondo e legati a una piccola economia di sussistenza del territorio. Condizioni di povertà e di arretratezza – ribadisce la scrittrice – più culturali che economiche”.

LA PARTE AUTOBIOGRAFICA – L’autobiografia entra nel romanzo anche attraverso il personaggio molto amato dai lettori della sorella Adriana, che rappresenta – spiega Donatella Di Pietrantonio  “la parte di me più bambina che imparava a sopravvivere e che nel romanzo si è presa i propri spazi da sè, un po’ come il Pinocchio di Collodi. La sorella è un personaggio indispensabile per la sopravvivenza della protagonista,  alla quale l’aiuto può arrivare solo su un piano orizzontale e non dall’alto da una delle sue madri. L’altro motivo  presente nel romanzo è proprio il  rapporto tra maternità adottiva e biologica, tema sul quale – conclude la scrittrice – però non ho voluto dare nessun giudizio etico.

 

 

 

Alessandra Pavan

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