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Chi ha ucciso la lingua italiana? Un libro per scoprire il colpevole della ”strage dei congiuntivi”

Il virus è ormai divenuto pandemico e interessa, in maniera trasversale, individui di ogni età, sesso, razza, religione e classe sociale. Parliamo della 'Strage dei congiuntivi', non solo un dato di fatto

MILANO – Il virus è ormai divenuto pandemico e interessa, in maniera trasversale, individui di ogni età, sesso, razza, religione e classe sociale. Parliamo della ‘Strage dei congiuntivi‘, non solo un dato di fatto, come dimostrato da un nostro studio sugli 8 errori grammaticali più frequenti commessi dagli italiani, ma una tesi confermata dal docente e scrittore Massimo Roscia, autore dell’opera.Un noir originale, ricco di rimandi letterari, citazioni, livelli narrativi; un testo iperbolico, una vera delizia per gli amanti della lingua italiana, ormai sempre più vilipesa, maltrattata, mutilata. La responsabilità? Secondo l’autore è ‘di tutti coloro che hanno fatto sì che in Italia il ruolo della cultura sia (congiuntivo) diventato residuale’.

 

Un noir, un esercizio di erudizione, un’invettiva contro i depauperatori della lingua italiana. Come definirebbe il suo libro?

Un complesso di fogli (324, per la precisione) della stessa misura, stampati, rilegati e forniti di copertina, una copertina, peraltro, iconograficamente molto accattivante. Oppure un romanzo, un componimento letterario in prosa in cui in cui l’Autore – No. L’ho fatto. Ho usato la maiuscola e la terza persona! – ha mescolato esperienza, osservazione e immaginazione. O un noir,  una narrazione in cui il crimine e la sua soluzione sono meri pretesti, l’obiettivo cattura le immagini della società, il mistero assume una funzione subordinata, i confini tra il bene e il male si confondono fino a scomparire, il finale spiazza e i lettori si immedesimano nei protagonisti diventando essi stessi paladini della lingua italiana, difensori della sua integrità, magnificatori della sua bellezza e giustizieri dei suoi nemici. O un esercizio di erudizione di un lettore che adora la finzione, l’inganno, il paradosso, la metafora, la mistificazione della storia, l’intreccio, i labirinti, i mondi paralleli, le trame contorte, il gioco, la burla, la provocazione, la sfida e che, indossato l’abito dell’autore – con la minuscola; questa volta ho saputo resistere alla tentazione – si comporta in maniera coerente. O, ancora, un’aspra invettiva contro coloro che invertono i congiuntivi con i condizionali, che fanno a brandelli le desinenze, che rendono maldestramente transitivi i verbi intransitivi, coloro che gettano a spaio la punteggiatura sulle pagine, che abbattono i nessi logici e le regole grammaticali con suoni e surrogati di parole, coloro che eccedono in fastidiose sovrapproduzioni di avverbi, che usano insopportabili diminutivi iperbolici, espressioni trite e banali, frasi mangiucchiate, difettose, frammentate, irrelate… O una dolce/amara riflessione sullo stato di salute della lingua e, più in generale, della cultura in Italia. O, infine, un lungo e disorganico flusso verbale che è stato trascritto in bembo corpo dodici solo per urgenza, desiderio, presenza, riparazione, provocazione, condivisione, amore, capriccio, bisogno, riflesso condizionato, dilatazione dei pori, divertimento, azione e reazione, ineluttabilità, espiazione, dispetto, libertà, tensione, noia, censura, sfida, impulso, angoscia, devozione, rivalsa, godimento, esercizio, dipendenza, mancanza di ritegno, gioia, inerzia, principio di Archimede, nutrimento, onanismo, gioco, partecipazione, insonnia, altruismo, egoismo, riscatto, affermazione, deficit affettivo-relazionale.

 

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Quali sono gli strafalcioni più comuni oggi?

Quante battute (non solo tipografiche) ho a disposizione? È il trionfo dei Se io sarei, , stò, , quà, un’abbraccio, qual’è; le ripetute mutilazioni della lettera h nel verbo “avere”; l’epifania della vergognia, raggione, moltiplicazzione, borza, areoporto, celebrale, matrimognale, eggemonia, viggile, coscenza, pultroppo, sopratutto e daccordo; le raffiche di piuttosto che erroneamente usato con valore disgiuntivo; gli insopportabili assolutamente sì e assolutamente no che rendono perentorie normalissime affermazioni o negazioni;  l’ignominioso lessico ricolmo di fare, cosa, molto, bello, tanto, grosso e – il più abusato, il peggiore in assoluto – quell’importante che miracolosamente diventa aggettivo universale, sinonimo di tutto, adatto a persone, situazioni, eventi, luoghi, attitudini e capacità, valido per ogni stagione, disponibile ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette, parola magica, portentosa panacea ai mali del mondo; i venefici neologismi come attenzionare, efficientare, situazionare, promozionare, sendare, briffare, le skills e l’apericena; gli inutili pleonasmi come entrare dentro, uscire fuori, salire su e scendere giù; le metafore trite e ritrite, i tic linguistici, i luoghi comuni e le banalità di ogni sorta; gli usi smodati e impropri di non c’è problema e mi sia consentito, le mitragliate di senza se e senza ma; i per quanto e i quant’altro scagliati come dardi avvelenati che fendono l’aria con le loro irritanti code inespresse e sospese nel nulla. Errori aberranti, locuzioni insensate, difetti di pronuncia, espressioni fruste, pattume semantico… “La sconsiderata favella – direbbe Partenio di Nicea – altera, cannibalizza, corrompe, avvelena, infanga, sfigura, strazia, tormenta, amputa, umilia, inquina, imbarbarisce, appesta, deturpa, abbatte, tortura, devasta, oscura, saccheggia, lacera, annichilisce”.

 

Esiste una particolare categoria di “gaffeurs linguistici” più sensibile?

Purtroppo, da un punto di vista epidemiologico, non possiamo fare riferimento a un’unica categoria. Il virus è ormai divenuto pandemico e interessa, in maniera trasversale, ecumenica e tragicomica, individui di ogni età, sesso, razza, religione e classe sociale. Il gioco delle categorie torna però ad avere un senso se riferito alla gravità della colpa, che è direttamente proporzionale alla conoscenza – reale o presunta – della lingua. Uno stò scritto da un giornalista o un come dirò poc’anzi usato nell’arringa da un avvocato civilista sono difficilmente perdonabili.

 

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Perché secondo lei oggi la lingua italiana viene sempre più maltrattata e mutilata? Ci sono responsabilità particolari?

Dietro l’alibi della necessità di semplificazione si celano ignoranza, pigrizia, superficialità, sicumera, scarso amor proprio, perdita dei valori. La drammatica diffusione di errori/orrori non si limita a evidenziare il decadimento della lingua, ma sublima la mediocrità, sancisce ufficialmente l’abdicazione della cultura, profetizza la rovina definitiva del sapere. La responsabilità? È di tutti coloro che hanno fatto sì che in Italia il ruolo della cultura sia (congiuntivo) diventato residuale.

 

Dal libro alla realtà: chi può essere oggi il vero salvatore della lingua italiana?

Io.

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