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Caterina Bonvicini, “Ecco i vantaggi di scrivere libri noir”

L'autrice è in libreria con "Fancy red", un thriller psicologico pervaso da una suspense costante, una storia d'amore il cui protagonista indiscusso è il desiderio

MILANO – Puoi usarlo per toccare temi scomodi e perturbanti, e nello stesso tempo ti aiuta a coinvolgere il lettore, per portarlo dove vuoi. Sono questi alcuni dei privilegidi un autore che scrive libri noir secondo Caterina Bonvicini, in libreria con “Fancy red“, un thriller psicologico pervaso da una suspense costante, una storia d’amore il cui protagonista indiscusso è il desiderio, “indomabile e capriccioso come Ludo e la sua pietra”. Di seguito l’intervista all’autrice.

 

Come nasce la trama di “Fancy red”?

Tutto nasce da un racconto, che avevo scritto quattro anni fa e non volevo abbandonare. Si intitolava «L’odore dolce della miseria» e parlava di una coppia che andava in giro per il mondo in cerca di avventure erotiche. Il problema era la disparità: loro ricchi turisti e le persone coinvolte infinitamente più deboli. Il  vero terzo incomodo nella coppia era la povertà. L’idea mi è venuta a Cuba. Il turismo sessuale mi turbava molto. Mi chiedevo: Ma come può essere compatibile il desiderio con la sofferenza della gente?

Quel nucleo, cioè il divario spaventoso fra ricchezza e miseria, che poi è il problema maggiore del mondo contemporaneo, da cui deriva la tragedia dei migranti, mi stava a cuore. Allora ho deciso di costruirci intorno un romanzo.

 

A quali autori e stili narrativi ti sei ispirata per questo noir?

Quando Carlo Carabba mi ha presa in Mondadori, il libro non esisteva ancora, mi ha fatto un contratto al buio, perché aveva letto i romanzi precedenti. Gli avevo mandato solo una cartella per spiegare cosa avevo in mente. E lì gli raccontavo che per ogni romanzo scelgo modelli letterari diversi, a seconda delle mie esigenze. E che per questo, avevo intenzione di muovermi fra Patricia Highsmith e Alfred Hitchcock, passando per Lucia Berlin e Edna O’Brien, e contando sulla presenza perseverante nel mio lavoro di Truman Capote  (non quello di A sangue freddo, nonostante il noir, quello di Colazione da Tiffany). E questa è stata la costellazione che ho scelto come bussola.

 

Perché hai scelto proprio il diamante rosso “fancy vivid red” come filo conduttore di questa storia?

Non ho mai provato il minimo interesse per le gemme. Se guardo un diamante nella vetrina di un museo, mi annoio dopo mezzo minuto. Tutto è successo per caso, quando ho fatto amicizia con Filippo Lotti, il direttore di Sotheby’s, e ho conosciuto il capo dipartimento di gemmologia, Sara Miconi. Bisogna sempre cercare un lavoro ai propri personaggi. E subito ho pensato: Ecco, il protagonista del prossimo romanzo sarà un gemmologo. E in quel preciso momento ho capito che i diamanti erano il correlativo oggettivo giusto per raccontare quello che volevo raccontare, cioè il divario fra ricchezza e miseria e che potevano portare questo discorso all’estremo.  Ci sono molti tipi di diamanti, quelli colorati, che si chiamano Fancy, adesso vanno molto di moda e all’asta raggiungono cifre vertiginose. I rossi poi, sono i più i rari. Ne esistono una trentina al mondo. Per loro natura sono piccoli, e poi sono poco conosciuti, si scambiano facilmente per un rubino o uno spinello. E così sono arrivata al Fancy Red. Per rendere la gemma ancora più preziosa avevo bisogno di un colore eccezionale, come il Vivid Red.

 

La dedica del libro è “alle mie amiche scrittrici”. Perché tale scelta? Pensi sia un caso che i più famosi thriller e noir siano scritti da autori maschili?

Perché le amo, le mie amiche scrittrici. E volevo metterlo nero su bianco. Gli autori di noir non c’entrano niente. Mi ricordo quando l’ho scritta. Ero in Sardegna, su un’isoletta piccolissima, fuori stagione. Mi ero ritirata lì a lavorare su Fancy Red, per non avere distrazioni. Sola, in mezzo ai gabbiani che in maggio deponevano le uova, a covare anch’io. Quando facevo una pausa, trovavo 120 messaggi delle mie amiche scrittrici e mi si apriva il sorriso. Erano sempre con me. Un giorno ho risposto con una foto dello schermo del computer: la pagina con la dedica.

 

Perché hai scelto di scrivere romanzi noir? Cosa ti permette di esprimere come scrittrice questo genere rispetto ad altri?

E’ bellissimo scrivere noir. Sono arrivata tardi al mio genere preferito, dopo i quarant’anni. Mannaggia, a saperlo prima. Mi sono accorta che il genere non ti limita affatto, anzi. Puoi usarlo per toccare temi scomodi e perturbanti, che poi è il dovere della letteratura. E nello stesso tempo ti aiuta a coinvolgere il lettore, per portarlo dove vuoi. Naturalmente dipende da quale tipo di noir scegli. Un thriller psicologico è molto malleabile, per esempio. Non è affatto incompatibile con la letteratura. Basta pensare a Patricia Highsmith. Se invece scegli investigatori e serial killer o il giallo all’inglese, diventa più dura combinare il genere e il letterario. Puoi anche scriverli da dio, ma le regole del gioco ti chiudono e può uscirne solo qualcosa di pop. Nulla in contrario al pop, dico solo che è una scelta di fondo molto diversa, che puoi tranquillamente fare, anche in allegria, ma sapendo che quello è.

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