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Azzurra Della Penna, ”Nel mio libro celebro la storia della Vespa, vero e proprio mito del made in Italy”

La Vespa è uno dei pochi veri miti italiani, un'icona della modernità, del boom economico e della ''dolce vita'': ecco perché l'idea di dedicarle un volume, intitolato appunto "Vespa"

MILANO – La Vespa è uno dei pochi veri miti italiani, un’icona della modernità, del boom economico e della “dolce vita”: ecco perché l’idea di dedicarle un volume, intitolato appunto “Vespa”. A parlarcene è Azzurra Della Penna, giornalista di Chi, esperta di costume e società e  autrice del libro insieme a Valerio Boni, giornalista specializzato in motori che attualmente lavora per Panorama Auto. I due ripercorrono le tappe dell’affermazione della Vespa sul mercato italiano e internazionale, in un testo arricchito da un ricco apparato iconografico – fotografie dei modelli recenti, gli sviluppi del marchio Vespa, gli slogan e le campagne stampa di successo.

 

Perché dedicare un libro alla storia della Vespa?
Le vera domanda è: perché farlo così tardi? Non cade infatti nessun anniversario particolare, e sono passati diversi anni dal cinquantenario della Vespa, che è nata subito dopo la Seconda guerra mondiale. Ma la Vespa resta uno dei pochi veri miti italiani, ha superato le mode e i tempi, ha messo d’accordo la destra e la sinistra – è un mito bipartisan: negli anni Settanta la guidava sia chi portava l’eskimo sia chi indossava la Dr. Martens. È un oggetto che va molto al di là dello scooter: il suo inventore, Corradino D’Ascanio, detestava le due ruote e progettò una moto “rubata all’aeronautica” – lui era un ingegnere aeronautico. Per tutti questi motivi e per molti altri ci sembrava finalmente il momento di dedicare alla Vespa un libro, e la pubblicazione ha avuto tra l’altro un buon riscontro sia di critica sia di pubblico, tant’è che è un volume che è stato subito venduto all’estero: ci sarà un’edizione francese e se ne stanno preparando una inglese e una tedesca.
La Vespa è appunto diventata una grande icona italiana, un simbolo: che cosa ha rappresentato quest’oggetto nella storia d’Italia?
Tante cose: nell’immediato dopoguerra ha rappresentato un’alternativa economica per spostarsi velocemente anche con tutta la famiglia – perché in Vespa si poteva stare in tre: il padre guidava, la madre stava seduta dietro e il bambino in piedi sul pianale; subito dopo, negli anni Sessanta, con il boom economico e l’affermarsi di un’idea dell’amore un po’ più libera, in Vespa si usciva con la ragazza seduta dietro all’amazzone – simboleggiava quindi un modo di liberare e liberarsi; ha rappresentato anche la libertà femminile, perché subito dopo hanno cominciato a guidarla anche le donne – ci sono delle immagini anzi che ci mostrano signore alla guida della Vespa già negli anni Cinquanta; poi è diventata un mito cinematografico – la Vespa infatti, chissà se casualmente o volutamente, ha inventato il product placement quando ancora non si sapeva cosa fosse: alla fine degli anni Cinquanta ha dato i suoi scooter a Cinecittà per permettere agli attori e a coloro che lavoravano sul set di spostarsi più agevolmente al suo interno. Sono così uscite migliaia e migliaia di foto di attori e attrici famosissimi – in quegli anni Cinecittà era “l’Hollywood sul Tevere” – a bordo della Vespa: ce n’è per esempio una, indimenticabile, di Charlton Heston vestito da Ben-Hur; in seguito hanno avuto l’idea di fare i calendari con grandi attrici e attori in Vespa, prima che nascessero i vari calendari pubblicitari. Insomma, nel corso degli anni i creativi della Vespa hanno realizzato operazioni rivoluzionarie nel campo del marketing, quando ancora la parola “marketing” non esisteva in Italia.
Un esempio di come ci si inventi una strategie economica a tutto tondo: un insegnamento particolarmente utile in questi anni di difficoltà per l’economia italiana…
Sì, i creativi della Vespa sono stati i primi a lavorare in modo sinergico, a raccontare la Vespa in mille maniere diverse: io mi ricordo gli slogan fantasmagorici, anche abbastanza surreali, da loro ideati, come “Chi ‘Vespa’ mangia le mele”, in tempi in cui la pubblicità era ancora il carosello. Sono stati sicuramente dei pionieri, si sono inventati un modo di comunicare il prodotto.

 

Com’è nata la collaborazione con Valerio Boni, l’altro autore del libro, e come si è spartito tra di voi il lavoro?
Io e Valerio ci conosciamo da molto tempo: siamo entrambi giornalisti, nel nostro lavoro è facile incontrarsi per grandi e piccoli eventi. Lui lavora attualmente per Panorama Auto, e in generale è un personaggio abbastanza mitico del giornalismo specializzato italiano: è stato anche pilota ed è uno straordinario esperto di motori. È stato lui a ricevere questa commissione dall’Electa, e visto che aveva bisogno di aiuto sulla parte di costume, società e marketing  ha chiesto a me che mi occupo di questi argomenti di scrivere insieme a lui il libro.

 

Su quali fonti avete lavorato?
La fortuna in questo caso è stata che la Vespa conserva la maggior parte dei materiali – come azienda ha saputo conservare e mantenere vivo lo spirito del passato, ha un museo e un archivio storico straordinari. Ci siamo dunque appoggiati soprattutto a Pontedera, che è la sede di questo museo e di questo archivio, soprattutto per la ricerca iconografica. Poi è stata fatta una ricerca iconografica a parte sul cinema.

 

Si può intendere questo libro come un invito a proteggere e incentivare il made in Italy, a farne ancora uno strumento di ripresa?
Questo può essere un augurio e un buon auspicio. Tra l’altro la Vespa quest’anno ha messo in campo ulteriori iniziative per rendersi appetibile sul mercato, facendo uno scooter di target molto alto e uno di uso e consumo quotidiano. Sicuramente questo è anche un libro che racconta un’esperienza di duraturo successo, quindi può essere un vademecum importante per chi vuole imparare come vanno fatte le cose.

 

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