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Alessandro Perissinotto, “La violenza sulle donne è un problema di cui scrivere”

"La neve sotto la neve", ultimo romanzo di Alessandro Perissinotto è un giallo che parla anche di violenza contro le donne

MILANO – Già presente in tutte le librerie,  con “La neve sotto la neve” di Alessandro Perissinotto torna con il secondo capitolo sulle indagini del Commissario Kurismaa. Questa volta, al centro dell’indagine, c’è un tema sociale molto forte e sentito: la violenza sulle donne. Noi di Libreriamo abbiamo deciso di intervistare l’autore per farci raccontare direttamente da lui il suo ultimo romanzo.

Perché ha scelto di ambientare anche questo suo romanzo proprio in Estonia? Che cosa rappresenta?

Ho frequentato spesso l’Estonia per ragioni di lavoro (l’Università di Tartu è da sempre un punto di riferimento per chi, come me, si occupa di linguistica e semiotica) e sono rimasto affascinato da questo Paese, da questa cultura “di confine”, sospesa tra influenze svedesi, finlandesi, tedesche e russe, ma con una forte identità nazionale. E poi, il paesaggio estone è di quelli che ti avvolgono. Io ho spesso ambientato le mie storie a Torino, a Bergamo o a Parigi, cioè nei luoghi di cui mi sento cittadino; scegliere di raccontare l’Estonia significava raccogliere la sfida di interpretare un luogo meno consueto, meno familiare e, dal momento che Il treno per Tallinn (Mondadori 2016), la prima indagine del mio commissario Kurismaa, è stato tradotto con successo in estone, credo che questa sia una sfida vinta.

Quando hanno influito romanzi di genere come le saghe di Camilla Lackberg e Stieg Larson – che non si muovono in Estonia ma rientrano comunque all’interno della cultura dei polizieschi nordici?

L’elemento di novità rappresentato, fin dai primi anni Duemila, dai polizieschi nordici ha sicuramente influito sulla mia scelta per ciò che riguarda personaggi e ambientazioni. In opposizione a un noir prevalentemente urbano, il giallo nordico fa entrare prepotentemente i paesaggi naturali nella vicenda e nell’animo dei personaggi. In questo senso, anche i romanzi della serie di Marko Kurismaa sono dei gialli nordici. Ma non dobbiamo pensare al nord-Europa come a un’area geografica omogenea: certo, i Paesi scandinavi e quelli Baltici sono accomunati del rigido inverno, dalle ampie foreste e da una certa luce, ma dal punto di vista storico e sociale le differenze sono enormi. Ecco dunque che, in una vicenda di ambientazione estone devono emergere alcuni elementi caratteristici di quella nazione, soprattutto devono emergere le peculiarità della società estone, poiché il noir rimane un romanzo sociale per eccellenza. Ecco dunque che nelle mie storie, a fare da sfondo alle indagini e ai crimini, c’è il contratto tra estoni di origine e russofoni giunti in Estonia ai tempi dell’impero sovietico, il contrasto che nasce dal ribaltamento dei ruoli tra vincitori e vinti. Il commissario Kurismaa porta con sé una ferita che non guarisce, quella di un padre dissidente, morto, negli anni ’80, in un campo di rieducazione in Siberia: è il tipico rappresentante di una generazione (quella dei cinquantenni) che ha vissuto in piena consapevolezza i cambiamenti politici di fine millennio; basta questo per comprendere le differenze tra lui e i suoi colleghi letterari scandinavi.

In un’intervista ho letto che sono le immagini ad ispirarla; in questo caso la neve pare avere un’importanza rilevante. Che genere di scene l’hanno ispirata?

Quando ho la fortuna di recarmi in Estonia in inverno non manco di regalarmi, proprio come fa il mio personaggio, una giornata di sci di fondo a Pirita, un sobborgo di Tallinn: la pista di sci fiancheggia il fiume Pirita e arriva fin quasi al mare (a Pirita di svolsero le gare di vela delle olimpiadi di Mosca 1980) e vedere tutta quella neve in riva al mare è un’esperienza straniante. La neve in spiaggia, gli scogli coperti di ghiaccio, i tram che si spostano sollevando una nuvola bianca: queste sono le scene che mi hanno ispirato. Il romanzo si apre con il ritrovamento di un cadavere dentro a un cumulo di neve, in uno spazio dove la neve sembra aver coperto ogni traccia, ma se la neve la conosci un po’ (e Kurismaa ed io la conosciamo), sai che sotto uno strato più superficiale, i cristalli possono conservare delle memorie preziose. E poi, la neve, nella storia estone, ha chiaramente un ruolo importante e anche la Storia diventa un personaggio del romanzo; non è un caso se a ritrovare il cadavere è un anziano signore, Jaak Israel, uno dei pochi ebrei sopravvissuti allo sterminio della comunità ebraica estone durante la seconda guerra mondiale, uno dei pochi sopravvissuti al campo di concentramento di Klooga, uno dei tanti lager minori che sembrano svanire dalla memoria.

Come si trova nel ruolo di scrittore thriller?

È un piacevole ritorno al passato. Il mio primo romanzo, L’anno che uccisero Rosetta (Sellerio), è stato pubblicato esattamente vent’anni fa ed era un noir. Sulla quarta di copertina di La neve sotto la neve c’è scritto “Una parte di me aveva ancora una gran voglia di scrivere gialli, quella parte si chiama Arno Saar”; nella collaborazione con il mio immaginario alter ego estone ritrovo la possibilità di tornare al genere con cui ho iniziato a scrivere e di farlo come se partissi da zero, cioè con enorme entusiasmo.

Dà molta importanza alle tematiche sociali; in questo caso ha voluto approfondire quello della violenza sulle donne …

La conta dei femminicidi assomiglia sempre di più alla conta dei morti di una guerra non dichiarata tra uomini e donne e ad ispirare questo romanzo, più che “Uomini che odiano le donne” di Stieg Larson, è la cronaca quotidiana. In qualità di editorialista per Il Mattino di Napoli, mi trovo spesso confrontato a casi di cronaca nera in cui tutto muove da un insano desiderio di possesso dell’uomo sulla donna; questo desiderio malato è anche il motore narrativo di La neve sotto la neve e forse lo sarà anche della prossima indagine di Marko Kurismaa, perché il poliziesco si nutre di realtà e quella della violenza sulle donne è, purtroppo, la realtà con la quale ci stiamo confrontando, la realtà di cui dobbiamo continuare a parlare, affinché tra qualche anno un giallo come il mio possa apparire “una storia del passato”.

In ultimo, che consiglio si sentirebbe di dare ai giovani scrittori e, magari, a chi ama il genere giallo?

Molti anni fa, sono stato un giovane aspirante scrittore ed è forse la scelta del giallo che ha fatto di me, sempre molti anni fa, un giovane scrittore. La scrittura poliziesca obbliga a una grande disciplina e a un grande rispetto per il lettore: l’autobiografia, i tormenti tardo-adolescenziali, le riflessioni intorno al proprio ombelico e tutti gli altri elementi che spesso rendono poco interessanti i nostri primi e giovanili esperimenti letterari devono per forza rimanere fuori da un poliziesco, perché il lettore non li accetterebbe. Il giallo ci costringere a trovare il punto d’incontro tra ciò che abbiamo voglia di scrivere e ciò che il lettore ha voglia di leggere. Dedicarsi al poliziesco non significa uniformarsi alle esigenze di un mercato di massa, ma significa non concentrarsi troppo su se stessi (coesa che da giovani scrittori, parlo per esperienza, si ha tendenza a fare); raccontare storie di vittime e carnefici ci obbliga a riconoscere che, al mondo, ci sono storie più drammatiche e più forti della nostra (a meno che, ovviamente, noi non rientriamo nella categoria delle vittime o in quella dei carnefici).

 

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