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Abelardo ed Eloisa, la tragica storia d’amore che ispirò “Romeo e Giulietta”

Prima di Paolo e Francesca e di Romeo e Giulietta, un amore realmente avvenuto infiammò la Parigi dell'anno Mille

MILANO – Il Medioevo è ben lontano dall’essere un’epoca austera e oscura, così come c’è stata sempre raccontata da chi, venendo dopo, aveva il bisogno di dichiararsi più “luminoso” dell’epoca precedente.

Sebbene concentrata in pochi luoghi, la cultura fioriva vivace e coltissima, nutrendosi delle reti che un’istituzione capillare come la Chiesa poteva offrire. Sotto il cappello ecclesiastico non tutto era dominato da pensieri ascetici e ultraterreni, anche i sensi e le passioni erano ben vivi e presenti. Poemi e canti d’amore avevano una diffusione vastissima: non dimentichiamoci che “amor cortese” va inteso nel senso di “passioni di corte” e non di “amore gentile-puro”. E a far sospirare i tanti cuori non furono solo le vicende letterarie di Tristano e Isotta, Lancillotto e Ginevra, ma anche quelle reali, mondane, di uomini e donne contemporanei.

Tra questi, la vicenda di Abelardo ed Eloisa fu sicuramente l’amore che più infiammò l’Europa del Mille, continuando a ispirare autori e poeti nei secoli successivi: dai Paolo e Francesca di Dante a Romeo e Giulietta di Shakespeare, passando per i molti rimandi di Boccaccio.

IL FILOSOFO E LA FANCIULLA – Pietro Abelardo, bretone di nascita, è considerato tutt’oggi uno dei più importanti teologi della storia della Chiesa. Sebbene oggetto di scomunica, le sue teorie sulla “Disputa degli universali” (la più importante disquisizione filosofico-teologica Medioevale) furono fonte di ispirazione fra i tanti di Graziano,  Alberto Magno, Tommaso d’Aquino. In vita Abelardo fu uno dei maestri più seguiti, guadagnandosi fama e prestigio fra gli universitari di tutta Francia (fra cui si contano futuri filosofi, re e Papi). Bello e talentuoso, in una lettera lo si trova descritto così:

“Tutti si precipitavano a vederti quando apparivi in pubblico e le donne ti seguivano con gli occhi voltando indietro il capo quando ti incrociavano per la via […] Avevi due cose in particolare che ti rendevano subito caro: la grazia della tua poesia e il fascino delle tue canzoni, talenti davvero rari per un filosofo quale tu eri […] Eri giovane, bello, intelligente”.

L’autrice di una lettera così piena di amore e ammirazione è una fanciulla appena sedicenne, Eloisa, nata attorno al 1095 nel cuore di Parigi in una famiglia benestante ed affidata dallo zio canonico alle cure del convento di Argenteuil. Qui la giovane si era distinta dalle compagne di studi per le spiccate doti per lo studio, soprattutto delle lingue classiche e dell’ebraico, e di quelle che all’epoca venivano chiamate arti liberali (grammatica, retorica, geometria ed astronomia).

GALEOTTO FU IL LIBRO – Il loro incontro avvenne nel 1116, quando lo zio della giovane decide di coltivare le doti di Eloisa facendole dare lezioni dal maestro più celebre del momento: Abelardo. Lui, quasi quarantenne, si innamora da subito della ragazza, poco più che diciassettenne: “Eloisa aveva tutto ciò che più seduce gli amanti” ricorderà il filosofo nella sua biografia, diventata da subito celebre, “Storia delle mie disgrazie”.

Col pretesto delle lezioni ci abbandonammo completamente all’amore, lo studio delle lettere ci offriva quegli angoli segreti che la passione predilige. Aperti i libri, le parole si affannavano di più intorno ad argomenti d’amore che di studio, erano più numerosi i baci che le frasi” ricorderà lei in una lettera, in cui si rivolge a lui come “mio signore, anzi padre, al mio sposo anzi fratello, la sua serva o piuttosto figlia, la sua sposa o meglio sorella… ti ho amato di un amore sconfinato… mi è sempre stato più dolce il nome di amica e quello di amante o prostituta, il mio cuore non era con me ma con te“.

LA FUGA – Per la fanciulla Abelardo compone poesie che iniziano a esser lette in tutti i circoli culturali. L’idillio continua fino a quando lo zio di Eloisa scopre la relazione, cacciando il maestro. Eloisa aspetta però un figlio e fuggirà per questo da Parigi assieme ad Abelardo, rifugiandosi in Bretagna. Al bambino verrà imposto il nome di Astrolabio, il rapitore di stelle.

Abelardo, per salvare la ragazza dal disonore, propone alla famiglia di contrarre un matrimonio segreto, al quale però Eloisa si oppone, nel timore che il matrimonio metta fine alla carriera ecclesiastica dell’amato. “Quante lacrime verserebbero coloro che amano la filosofia a causa del (nostro) matrimonio… cos’hanno in comune le lezioni dei maestri con le serve, gli scrittoi con le culle, i libri e le tavolette con i mestoli, le penne con i fusi? Come può chi medita testi sacri e filosofici sopportare il pianto dei bambini, le ninne nanne delle nutrici, la folla rumorosa dei servi? I ricchi possono sopportare queste cose perché hanno palazzi e case con ampie stanze appartate, perché la loro ricchezza non risente delle spese e non è afflitta dai problemi quotidiani“, scrive Eloisa.

LO SCANDALO – Convinta la giovane, i due si sposano ma il segreto non regge a lungo. La notizia si diffonde per Parigi, tanto da spingere Abelardo a mandare Eloisa nel convento in cui ha studiato da bambina per difenderla dalle maldicenze. I parenti della ragazza intendono il gesto come un abbandono della moglie da parte del filosofo ed iniziano a minacciarlo, fino ad aggredirlo una sera, evirandolo. Lo scandalo scoppia: il tribunale di Parigi arresterà e mutilerà i parenti responsabili, sanzionando però anche Abelardo per aver sedotto e sposato in segreto Eloisa.

Eloisa prende i voti, divenendo badessa. Abelardo si dedica completamente alla vita intellettuale, rispettando rigidamente la regola ecclesiastica. Qui le loro strade si dividono, ma non si dimenticano: “Il piacere che ho conosciuto è stato così forte che non posso odiarlo” scriverà lei all’amato anni dopo.

Lui è irremovibile e cerca di convincerla che l’amore terreno è stato un errore puerile: “La mia morte, ben più eloquente di me, ti dirà che cosa si ama quando si ama un uomo“. Eloisa negli anni si dimosterà ben più ferma di lui nel mantenere intatto l’amore “Perché la sublimazione si dovrebbe raggiungere soltanto annichilendo i sensi e il sentimento d’amore che si prova verso un’altra persona?“.

INSIEME PER SEMPRE – In una delle ultime lettere Abelardo chiederà alla donna di far in modo che il suo corpo venga seppellito nell’eremo che anni prima aveva donato alle monache del suo ordine. Quasi vent’anni dopo, anche la salma di Eloisa verrà sepolta nella stessa tomba dell’amato: la leggenda medievale vuole che il corpo di Abelardo abbia abbracciato quello di Eloisa nel momento della inumazione.
Trovarono tra tutte quelle orribili carcasse due scheletri, uno dei quali abbracciava singolarmente l’altro. Uno di quegli scheletri, che era quello di una donna, era ancora coperto di qualche lembo di una veste di una stoffa che era stata bianca, ed era visibile attorno al suo collo una collana di adrézarach con un sacchettino di seta, ornato da perline verdi, che era aperto e vuoto. Quegli oggetti erano di così poco valore che di certo il boia non li aveva voluti. L’altro, che abbracciava stretto questo, era lo scheletro di un uomo.” (V. Hugo, Notre-Dame de Paris)
Secoli dopo, anche Victor Hugo rimase affascinato dalla storia del teologo e della fanciulla.

 

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