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Enrico Tallone, ”Con la mia casa editrice preservo la modernità della tradizione”

In quasi ottant'anni di attività, la casa editrice Tallone ha sempre portato avanti il progetto ambizioso del suo fondatore: stampare i grandi classici della letteratura europea in una veste tipografica purissima, con caratteri di piombo tradizionali composti a mano...
Alberto Tallone Editore da quasi ottant’anni porta avanti l’attività di un atelier tipografico in cui i libri vengono ancora composti a mano, con caratteri tipografici in piombo, e stampati su carta di puro cotone. L’editore Enrico Tallone ci presenta la storia e le linee guida della casa editrice
MILANO – In quasi ottant’anni di attività, la casa editrice Tallone ha sempre portato avanti il progetto ambizioso del suo fondatore: stampare i grandi classici della letteratura europea in una veste tipografica purissima, con caratteri di piombo tradizionali composti a mano, per ottenere il massimo della chiarezza sulla pagina. Così l’editore Enrico Tallone ci presenta il progetto editoriale che lui ha ereditato da suo padre Alberto.
Ci può raccontare brevemente la storia della casa editrice nelle sue tappe principali?
È una storia che ha inizio a Milano negli anni Trenta. Mio padre Alberto era figlio di Cesare Tallone, che insegnava all’Accademia Carrara di Bergamo e all’Accademia di Brera ed ebbe come allievi Pellizza da Volpedo, Carlo Carrà e altri importanti pittori del Novecento. 
Alberto Tallone aprì un’attività di libraio antiquario in via Borgonuovo a Milano, finché a un certo punto, stanco di essere soltanto un tramite, decise di diventare editore: si recò a Parigi, presso il maestro Maurice Darantiere, famoso tipografo d’origine digionese con una lunga tradizione artistica e libraria alle spalle, e divenne suo allievo. Nel 1938, essendo il migliore amico di Darantiere e il suo migliore apprendista, acquisì il suo atelier. Costruì così l’attività sulla base di un suo ideale tipografico secondo cui è il “carattere puro” a illustrare il testo, senza bisogno di aggiunte iconografiche, e diede vita a una collana dei grandi classici europei che si caratterizzava per l’attenzione nella scelta dei caratteri, dell’impaginazione. Divenne famoso proprio per questa sua idea della tipografia pura, coniugata con la meticolosa cura filologica dei testi, affidati tutti a grandi studiosi. Nel 1949 stampò per esempio un’edizione di gran pregio del “Canzoniere” di Petrarca, corredata dall’apparato critico di Gianfranco Contini. Tipografia pura e filologia hanno dunque rappresentato il filo conduttore della casa editrice fin dagli inizi dell’attività. 
E com’è arrivata la casa editrice nella sua sede attuale ad Alpignano?
Dopo vent’anni a Parigi, mio padre decise di trasferire nella Val di Susa, qui in un’antica proprietà nel borgo di Alpignano, l’atelier tipografico, che nel frattempo aveva arricchito di nuovi caratteri – mio padre è infatti l’inventore del carattere Tallone, che tutt’oggi noi usiamo in esclusiva. Qui riuscì a realizzare il suo ideale rinascimentale, quello di una casa-bottega diretta da un maestro che riuniva in sé le competenze dell’editore, dello stampatore e del libraio, ideale completamente controcorrente con i postulati della modernità. Accorpare tutto, però, ha un grande vantaggio: consente di seguire il prodotto libro dall’inizio alla fine. 
Voi ancora oggi componete i vostri libri a mano, con caratteri di piombo: perché questa scelta?
Il comporre a mano, già negli anni Trenta, in pieno macchinismo, e ancora oggi, può sembrare anacronistico, ma significa ricorrere a una tecnica senza compromessi. I caratteri incisi dai grandi maestri sono la calligrafia tipografica naturale del pensiero. L’uso di questi sistemi arcaici, con una tecnica di stampa lenta ma che dà più chiarezza alla pagina, è finalizzato a esaltare la letteratura. Quando si legge un libro ben fatto, ben strutturato, il tipografo scompare, perché riesce nel suo intento di mettere direttamente in contatto il lettore con il pensiero dell’autore. 
Quali sono i principi che guidano la vostra linea editoriale? Qual è la proposta offerta dal vostro catalogo?
L’idea è pubblicare i grandi classici della letteratura europea a partire dai filosofi greci. Il nostro catalogo spazia dai presocratici ai maestri latini – Catullo, Virgilio, Seneca –, fino ad arrivare ai grandi maestri del medioevo e del Rinascimento – Dante, Petrarca, Boccaccio, i grandi utopisti come Erasmo da Rotterdam e Tommaso Campanella. Comprende i grandi poeti europei – John Keats, Foscolo, Leopardi – e approda alla modernità con Alda Merini, Eugenio De Signoribus e i poeti attuali. Il nostro lavoro è molto lento, in ottant’anni di attività abbiamo stampato solamente 400 opere, ma abbiamo toccato e cerchiamo sempre di toccare tutti i nodi fondamentali della cultura europea e mondiale. Stampiamo le opere in lingua originale, senza testo a fronte, per favorire la concentrazione del lettore. La traduzione, quando esiste, è posta a parte insieme all’apparato critico. 
Ci può fare l’esempio di qualche rarità compresa nel catalogo?
In generale i testi pubblicati da Tallone sono i grandi classici, inframmezzati però talvolta da alcune novità assolute, come la traduzione a opera di Giuseppe Ungaretti del racconto di Edgar Allan Poe intitolato “Silence”. Questo testo è stato rinvenuto dalla studiosa Giulia Radin nella biblioteca municipale di Alessandria d’Egitto, città natale di Ungaretti, e lo abbiamo pubblicato in anteprima. Il poeta italiano si dimostra qui, seppur in giovanissima età, un traduttore altrettanto abile di Baudelaire, che con le sue traduzioni dell’opera di Poe contribuì a consacrarne la fama. 
Qual è il senso, nell’epoca della modernità ipertecnologica, di un lavoro che torna alle origini dell’editoria?
Non si tratta di un ritorno, ma di una continuità, di non perdere una tradizione. Tutt’oggi i caratteri più usati, anche dai computer, sono quelli classici che utilizziamo noi per i nostri libri – a dimostrazione che ciò che è classico è antico, è contemporaneo ed è futuro. C’è una modernità intrinseca nelle linee di questi caratteri, che non sono stati progettati da tecnici, ma sono stati promossi dall’occhio dei lettori. Pensiamo per esempio alla forma della lettera S: nel suono stesso percepiamo la rotondità, le curve. Nel suono della lettera Z sentiamo gli angoli, gli spigoli. Esiste una consequenzialità tra l’espressione di un pensiero e la forma dei caratteri. C’è una corrispondenza tra le due cose che fa parte della memoria collettiva e che dà forma ancora oggi il panorama letterario mondiale. 
In più la composizione a mano, seppur nella sua grande lentezza, è concettualmente modernissima, perché i caratteri usati per stampare un’opera vengono poi scomposti e riutilizzati per opere successive. Nella tipografia con 24 caratteri intercambiabili si rappresenta il mondo, e il nostro ideale è cercare di rappresentarlo con la maggiore chiarezza possibile.
25 settembre 2013
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