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Werner Bischof, il fotoreporter umanista

Apre oggi a Torino una retrospettiva di grande impatto sociale dedicata a uno dei più importanti fotoreporter del XX secolo. Dopo Henri Cartier-Bresson e Robert Capa, a Palazzo Reale arriva un altro grande maestro della fotografia, Werner Bischof...
Al grande maestro della fotografia del Novecento viene dedicata una retrospettiva che apre oggi a Torino a Palazzo Reale. L’esposizione sarà allestita a Palazzo Reale fino al 16 febbraio 2014
 
MILANO – Apre oggi a Torino una retrospettiva di grande impatto sociale dedicata a uno dei più importanti fotoreporter del XX secolo. Dopo Henri Cartier-Bresson e Robert Capa, a Palazzo Reale arriva un altro grande maestro della fotografia, Werner Bischof. L’esposizione, organizzata dalla casa editrice d’arte Silvana Editoriale in collaborazione con l’agenzia fotografica Magnum Photos e la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte, resterà aperta fino al 16 febbraio 2014. Accompagna la mostra il catalogo edito da Silvana Editoriale.
 
LA MOSTRA – La mostra è l’occasione per far conoscere a un vasto pubblico un artista della fotografia – come lo stesso Bischof amava definirsi – che, per la profonda empatia con i soggetti ritratti e la repulsione per il sensazionalismo, fu definito dalla critica mondiale “il fotoreporter umanista”. Il percorso espositivo si compone di 105 fotografie in bianco e nero, divise in 7 sezioni (Zurich 1945, Europe after the war 1945-1950, Japan 1951-1952, Korea 1951-1952, Hong Kong/Indochina 1951-1952, India 1951-1952, North/South America 1953-1954), che illustrano l’intensa e fulminea carriera del fotografo svizzero.
 
GLI ESORDI, DALLA FOTOGRAFIA DI MODA AL FOTOGIORNALISMO – Werner Bischof nasce a Zurigo nel 1916; all’età di 16 anni inizia a frequentare la scuola d’arte della città dove entra in contatto con il fotografo Hans Finsler, legato alla corrente della Nuova Oggettività. Dopo solo quattro anni apre il proprio studio, dedicandosi inizialmente alla fotografia realistica e di moda, dimostrando da subito una grande capacità tecnica e un’accurata ricerca della perfezione formale. Alla fine della seconda guerra mondiale, nell’autunno del ’45, intraprende un viaggio nell’Europa devastata dal conflitto: attraversa la Germania, la Francia e l’Olanda rimanendone profondamente segnato, tanto da abbandonare la fotografia patinata per dedicarsi interamente al fotogiornalismo e all’osservazione documentaristica della realtà.
 
I REPORTAGE E IL SUCCESSO INTERNAZIONALE – Nel 1949 entra a far parte dell’appena nata agenzia Magnum Photos, per la quale lavora in qualità di fotoreporter in giro per il mondo: in pochi anni visita il Giappone, Hong Kong, la Cina e la Corea. Nel 1951 arriva finalmente a riscuotere il suo primo successo internazionale con il reportage sulla carestia nella regione indiana del Bihar, per conto della rivista americana “Vogue”. Nonostante sia profondamente colpito dalla povertà della popolazione indiana e dalle condizioni estreme di vita in quelle regioni, Bischof riesce a mantenere intatta la sua sensibilità per la perfezione tecnica, utilizzando la luce come elemento creativo e realizzando delle immagini potenti e di grande impatto visivo.
 
LA MORTE PRECOCE – A soli 38 anni, nel 1954, perde la vita in un incidente automobilistico sulle Ande peruviane. Celebre la fotografia con il ragazzo che suona il flauto, scattata nei pressi di Cuzco, pochi giorni prima della sua morte.
 
SCATTI INDELEBILI DEL NOVECENTO – Sebbene sia universalmente riconosciuto come uno dei più grandi fotoreporter del XX secolo, con collaborazioni eccellenti per riviste come “Life” e “Vogue”, Bischof ha sempre rifiutato questa definizione, preferendo quella di artista e prediligendo un approccio umanistico all’osservazione della storia e delle vicende umane. I suoi scatti colpiscono ancora oggi per la loro immediatezza, per l’empatia e l’umanità che riescono a comunicare: fotografie che sono entrate in maniera indelebile nell’immaginario del Novecento.
 
20 settembre 2013
 
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