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Rino Barillari, ”Nelle mie fotografie c’è la storia del nostro Paese”

Il paparazzo originale è made in Italy. Parola di Rino Barillari, ''the king of paparazzi'', o meglio ''Er King'', soprannome con cui è noto anche all'estero. Conosciuto in tutto il mondo, Barillari è il fotoreporter che meglio ha saputo interpretare con i suoi scatti grandi spaccati della storia italiana, dalla dolce vita romana a cavallo tra anni Cinquanta e Sessanta, agli anni di piombo e ai giorni nostri...

“Er King”, il fotoreporter italiano famoso in tutto il mondo, parla del suo lavoro e di come è cambiata l’attività del paparazzo nel corso degli anni

MILANO – Il paparazzo originale è made in Italy. Parola di Rino Barillari, “the king of paparazzi”, o meglio “Er King”, soprannome con cui è noto anche all’estero. Conosciuto in tutto il mondo, Barillari è il fotoreporter che meglio ha saputo interpretare con i suoi scatti grandi spaccati della storia italiana, dalla dolce vita romana a cavallo tra anni Cinquanta e Sessanta, agli anni di piombo e ai giorni nostri. Il fotografo parla del suo lavoro e di come è cambiata l’attività del paparazzo dagli anni Sessanta a oggi.

Cos’è per lei la fotografia?

 

La fotografia è la storia fissata e raccontata per immagini, il suo carattere fondamentale è la possibilità di immortalare l’istante: è questo che voglio fare con il mio lavoro. La mia idea è di fermare e comunicare l’importanza di un determinato momento, o di un particolare personaggio in quel momento: si può anche sbagliare lo scatto, ma ciò che conta per me – al di là del valore artistico di un’immagine – è documentare. Una volta che lo si è fotografato, si consacra l’istante alla storia. Quando ho iniziato a lavorare non pensavo che i miei scatti avrebbero assunto questo significato, me ne sono reso conto dopo. Hanno iniziato a parlare delle mie fotografie, sono stato anche molto criticato, ma si è riconosciuto che in quelle immagini c’era la storia del nostro Paese.

Una storia costellata anche di momenti tragici, di fronte ai quali lei non ha voluto sottrarsi al compito cui la fotografia la chiamava: così è stato negli anni di piombo, quando lavorava per il quotidiano Il Tempo…

Sono stati tempi duri, in cui ho pianto e sofferto molto. Mi è capitato di fotografare amici stesi a terra, sul punto di morire: pochi minuti dopo non c’erano più, non facevano neppure in tempo ad arrivare in ospedale.  In quei momenti molti mi hanno accusato di cinismo, ma poi si è compreso il valore di quello che stavo realizzando. Era doloroso, eppure bisognava rendere una testimonianza, bisognava fare la storia.

Lei è il fotografo che più di ogni altro, a cavallo tra anni Cinquanta e Sessanta, ha saputo immortalare e interpretare la dolce vita a Roma. Quale suo scatto considera più rappresentativo di quegli anni?

Ce ne sono tanti. Roma era una città magica, la capitale del cinema: si producevano centinaia di film all’anno, era piena di grandi talenti e venivano star da tutto il mondo. Negli anni Sessanta le star di Hollywood si riversavano a Roma e si sentivano libere di fare ciò che volevano. Quello che si chiedeva ai paparazzi era di “aggredire” i personaggi, di coglierli in questi momenti non ufficiali in cui si credevano al riparo dagli sguardi indiscreti. Uno scatto di Peter Sellers che al ristorante baciava una donna faceva scandalo e il giro del mondo.

Cos’è cambiato da allora?

 

Sono cambiate le tecnologie: adesso ci sono le macchine digitali e i grandi obiettivi. Ma soprattutto sono cambiati i personaggi. Oggi la star è costruita da un’équipe: c’è una produzione intera dietro a un personaggio, che di sé offre in ogni momento un’immagine studiata nei dettagli. Al reporter non rimane niente da documentare se non quello che la star stessa vuole mostrargli: non si può entrare nella sua vita privata, è tutta una finzione. Alle donne si può ben dire che anche Claudia Schiffer ha la cellulite, ma che piacere ne possono trarre se non lo vedono con i loro occhi, se quello che si mostra sono continuamente fotografie ritoccate e bellissime, di dive che appaiono lontane anni luce dalla gente comune?

Se dovesse immaginare lo scatto che meglio potrebbe rappresentare la dolce vita oggi, quale sarebbe?

Una fotografia che immortali la star di mattina presto, al suo risveglio, oppure in tarda notte, quando rincasa. Uno scatto, insomma, che sappia rivelare com’è veramente quella celebrità: è questo lo spazio di manovra che resta al paparazzo.

Il suo lavoro è ancora oggi apprezzato in tutto il mondo…

Sì, negli ultimi tre mesi le mie fotografie sono state esposte in mostre personali a Kiev, a San Pietroburgo, a Ekaterinburg e a Mosca. E sono da poco tornato da Sian, in Cina, dove l’Università delle Arti e delle Scienze mi ha conferito la laurea ad honorem come fotografo-paparazzo. Centinaia di studenti sono accorsi alle mie lezioni di fotogiornalismo. Ho spiegato in cosa consiste il lavoro del paparazzo, qual è la sua filosofia:  ce ne sono tante copie in giro per il mondo, ma l’originale è solo italiano!

 

10 agosto 2012

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