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Marco Vallora (La Stampa), ”In Italia manca un sistema che aiuti gli artisti emergenti e meno noti”

La mostra dedicata a Piero Manzoni ha un ''fiato funereo'', cosรฌ ha scritto Marco Vallora in un articolo apparso di recente su La Stampa...

Il critico d’arte commenta con noi la mostra milanese dedicata a Piero Manzoni, facendoci scoprire un personaggio estremamente colto, diverso dalla figura del provocatore che ha realizzato la ”Merda d’artista”, e dà il suo parere sul panorama artistico italiano

MILANO – La mostra dedicata a Piero Manzoni ha un ”fiato funereo”, così ha scritto Marco Vallora in un articolo apparso di recente su La Stampa. Rispetto all’immagine del provocatore che si ha di questo personaggio, infatti, appare un po’ ”morta”, si vorrebbe forse qualcosa di più scandaloso, alternativo. Ma quel che emerge è un aspetto di Manzoni poco noto, che probabilmente è più importante ora far conoscere: la sua immensa cultura. Il critico d’arte ci introduce alla figura inedita di questo artista.

Nell’articolo apparso su La Stampa, ha parlato della complessissima personalità artistica di Manzoni, sfuggente perché impossibile da delimitare, provocatoria ma anche alimentata da studi e riferimenti filosofici ampissimi. E dice della mostra che ha “un fiato un po’ funereo, strategicamente ultimale-museale”. Può spiegarci questa affermazione?
Non so se Gualdoni, il curatore, l’abbia presa bene, ma dal mio punto di vista non è una critica. Fino a qualche anno fa si è pensato a Manzoni come a un “viveur”, un dissipato. Lo si leggeva come un personaggio stravagante e furbo, diventato famoso con il colpo di genio della “Merda d’artista”.
Recentemente però c’è stata una rilettura di Manzoni che ne ha fatto emergere la figura di intellettuale, saggio, e c’è chi, anche tra personalità importanti della storia dell’arte, ha criticato questa impostazione, spinta dalla famiglia, dicendo che ammazza il personaggio. Certamente, i libri che stanno uscendo – il libro pubblicato da Abscondita sui suoi scritti, o il suo giovanilissimo “Diario” – fanno vedere un ragazzo difficile, che vorrebbe scrivere e dipingere ma ha l’impressione di non saperlo fare bene, che sa di non avere doti. E in effetti se fosse rimasto il Manzoni degli inizi, quello che vediamo nella prima parte della mostra, probabilmente nessuno si ricorderebbe di lui. Ma in realtà questi diari fanno anche capire che era molto più colto, attento, studioso e interessato alla filosofia di quanto non di potrebbe credere.
Io credo che la mostra potesse presentare soltanto quest’ultimo Manzoni, non l’altro. Ma credo anche che sia giusto farlo conoscere così.

In che senso allora parla di “fiato funereo”?
La mostra  è “morta” nel senso che non emerge l’aspetto vitale e dissipato di Manzoni. Pensando a questo artista si potrebbe volere una mostra più bizzarra, più viva, più alternativa e scandalosa.
Ma forse oggi è più utile a far capire che Manzoni era anche l’altro personaggio rispetto a quello voluto dalla vulgata popolare, che in lui c’era una serietà anche tragica, mescolata a un’ilarità ironica. Io ho usato la formula “ilare tragedia” da “La gaia scienza” di Nietzsche. Nella mostra c’è la prova provata del suo percorso da un inizio molto vago,  molto pasticciato, un po’ nuclearista – in cui si vede l’influenza di Baj, ma già anche, e soprattutto, di Fontana – fino all’idea di portare avanti il discorso di Fontana del taglio, per andare al di là della tela. Questa per Manzoni non è più una tela su cui proiettare le nostre ansie, le nostre fantasie, i nostri tormenti, ma la superficie-tabula rasa degli achromes [serie di opere incentrate sullo studio dell’assenza del colore – N.d.R.].

Qual è il significato ha l’achrome?
Manzoni lavora molto consapevolmente sull’idea dell’assenza, però presentificata. L’achrome è un vuoto di significati, di intensità, di racconto, di figuratività, ma è un vuoto che tu vedi.
Fontana ha una visione più aristocratica dell’arte, da “hidalgo spagnolo” che sfida la superficie della tela e la buca in duello. Yves Klein, altro artista che esercita su Manzoni una grande influenza, è studioso di Newton ed è tutto impregnato di filosofia zen orientale. Purtroppo, drammaticamente ma con una certa ilarità ironica, Manzoni non ha più queste fiducie, quindi tenta una sorta di paradosso, di idea filosofica. La si può riassumere così: io voglio far vedere l’infinito. L’infinito però non si può far vedere. Paradossalmente, allora, faccio vedere il vuoto, mostro che c’è qualcosa che non posso far vedere, gioco sull’idea di una pittura che non può e non deve essere chiusa nel quadro.

C’è l’idea di una verità che merge nell’arte attraverso la sottrazione?
Sì, in Manzoni c’è l’idea molto forte di sottrazione, di realizzazione paradossale di un estetismo: non proietto il mondo sulla tela, ma la tela diventa lo zoccolo del mondo. L’artista mette un piedistallo al mondo e tutto il mondo diventa arte. È anche l’idea alla base delle sculture umane: mettendo le persone su un piedistallo, le fa  diventare delle opere viventi.
Manzoni anticipa così l’idea del Sessantotto, l’idea che tutti siamo artisti, anticipa Di Dominicis.
Certo, molte intuizioni gli vengono da Klein, ma comunque Manzoni ha una sua fisionomia molto forte.
Tutto questo dimostra che era molto più intelligente e profondo di quanto non voglia far credere la scolastica sul “ragazzo sciupato” e disimpegnato che a un certo punto ha il colpo di genio della “Merda d’artista”.

Quali sono le opere più interessanti in mostra?
Ce ne sono tante, anche perché lui è morto giovane, non ha prodotto moltissime opere nella sua vita. Quelle esposte qui sono, se non la metà, almeno un terzo della sua produzione. Semmai è più interessante ragionare su quello che manca. Ovviamente non ci possono essere le opere che sono svanite nel nulla, che lui voleva svanissero nel nulla.
È poi interessante che ci siano molti documenti fotografici, per esempio quell’immagine estremamente significativa di lui sul terrazzo circondato da quadri che aveva portato all’aperto. Sarebbe curioso capire perché li portasse all’aperto – a me viene in mente un famosissimo quadro di Munch, che portava le opere all’aperto perché la pioggia le irrorasse e continuasse il ciclo naturale  tra arte e vita. Certamente questa idea di portare l’opera fuori dal museo o di museificare la vita è importante.

Gli italiani hanno l’abitudine di affollare le mostre d’arte solo quando c’è qualche nome molto famoso o qualche opera celeberrima. Ci sono però tanti artisti non noti, magari anche di alto livello, che continuano a essere ignorati. Perché secondo lei?
Ci sono molti giovani che restano fuori dal circuito del mercato galleristico. Sono stato al miart lo scorso weekend a Milano: non si vede nulla di originale, ci sono molte banalità post-manzoniane che “fanno sistema”. Molti artisti in questo sistema non riescono a entrare e rimangono tagliati fuori.
La gente del resto non va alle mostre di artisti meno noti perché queste non hanno nessun sistema d’aiuto. Sui giornali, per cui io stesso scrivo, non si può fare i pionieri, l’imposizione è di parlare delle mostre di cui si conosce il nome. Secondo me è una cosa aberrante.
La gente va a vedere la mostra trascinata dal nome che bisogna omaggiare sempre e comunque, e poi rischia di visitare brutte esposizioni che allontanano le persone dall’arte. La mostra di Frida Kahlo a Roma, per esempio, non rende giustizia alla grande artista che è. La mostra di Klimt a Milano può essere interessante per un pubblico di nicchia, specialistico, per vedere come nasce un grande artista, ma non ci sono le opere maggiori che lo possano far conoscere al grande pubblico. Lo mostra di Kandinskij ha dei bei pezzi, ma non è la mostra scientificamente ben curata dove si scelgono le opere giuste per far comprendere un artista o un problematica affrontata dall’artista. Poi ci sono le mostre di moda, come quella di Regina José Galindo. La gente ci va perché deve, ma tendenzialmente rimane delusa.
Una voce fuori dal coro è stata l’ultima Biennale: pur avendo fatto storcere il naso a qualcuno, ha avuto il pregio di rompere con questo sistema e di far conoscere nuovi artisti, completamenti trascurati.

8 aprile 2014

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