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L’Italia sempre più povera e in pieno degrado culturale

I numeri parlano chiaro. Aumenta in un anno l'incidenza della povertà assoluta in Italia. Come certifica l'Istat, infatti, le persone in povertà assoluta passano dal 5,7% della popolazione del 2011 all'8% del 2012, un record dal 2005...

I numeri parlano chiaro. Aumenta in un anno l’incidenza della povertà assoluta in Italia. Come certifica l’Istat, infatti,  le persone in povertà assoluta passano dal 5,7% della popolazione del 2011 all’8% del 2012, un record dal 2005. È quanto rileva il report «La povertà in Italia», secondo cui in Italia sono 9 milioni 563 mila le persone in povertà relativa, pari al 15,8% della popolazione. Di questi, 4 milioni e 814 mila (8%) sono i poveri assoluti, che non riescono ad acquistare beni e servizi essenziali per una vita dignitosa.

Dato che se comparato ai numeri di Eurostat, secondo cui  l’Italia “indossa” la maglia nera d’Europa sul fronte dell’istruzione, offre l’immagine del degrado culturale che sta colpendo il Paese.  Nel 2012 il 17,6% degli studenti ha abbandonato la scuola secondaria. Peggiori solo i dati di Spagna (24,9%), Malta (22,6%) e Portogallo (20,8%), quando la media dell’Unione europea è al 12,8% e l’obiettivo per il 2020 è quello di scendere sotto il 10%. L’obiettivo nazionale è invece più realisticamente attestato su un 15-16% fra sette anni. Ma è quando si passa alle cifre dell’istruzione superiore che l’Italia tocca il fondo, superata anche dalla Romania.  

La percentuale di laureati rispetto a quanti si iscrivono all’università (o a corsi di istruzione equivalenti) è la più bassa d’Europa: poco più di uno su cinque (21,7%) completa il corso di studi entro i 34 anni. È il peggior dato dell’intera Unione europea, fortemente appesantito dalla performance dei maschi: appena il 17,2% arriva alla laurea, contro il 26,3% delle donne.

A leggere le cifre la correlazione tra povertà e degrado culturale appare chiaro. Una nazione che regredisce economicamente non può che perdere colpi anche dal punto di vista culturale. E ci sentiamo di affermare che la correlazione può funzione anche all’inverso.

Uno Stato che ha un alto livello culturale e che fa dell’istruzione e della lettura dei libri il suo punto di forza è infatti meno disposto ad accettare la corruzione, è più attento nello scegliere le persone che hanno l’importante compito di gestire la cosa pubblica e le strategie economiche nazionali. Un Paese che legge e acculturato fa del principio di responsabilità personale e collettivo uno dei suoi principi fondamentali. In realtà, come queste  non serve l’eccesso della coercizione legislativa per avere un rispetto della legalità e del pubblico.  

Ecco perché riteniamo che in un momento di crisi come questo la cultura dovrebbe diventare il primo settore su cui investire, rendendolo fonte di profitto. L’Italia da questo punto di vista vanta un patrimonio immenso che potrebbe, se opportunamente valorizzato, ricostruito, ristrutturato, restaurato, offrire migliaia di posti di lavoro.

La scuola e la formazione dovrebbero diventare il punto primario dell’Agenda di Governo, perché solo agendo in tale direzione si possono creare competenze e nuove figure in grado di poter spingere il sistema Paese a trovare forme e metodi per uscire fuori dalla crisi. Ci dispiace sottolineare che oggi siamo in un sistema globale dove la concorrenza internazionale sul versante produttivo è rovesciata a favore dei Paesi in via di sviluppo, anche perché, è bene affermare, il costo del lavoro e le tutele dei lavoratori non sono paragonabili ai Paesi del Vecchio Mondo.

Sentiamo costantemente parlare di digitalizzazione del Paese quale via d’uscita per la crisi. Noi siamo convinti che L’Italia deve avere le stesse opportunità comunicazionali dei Paesi più avanzati, ma crediamo non basti questo a creare opportunità diffuse di lavoro e grandi vantaggi economici. Ciò che la nostra Italia ha di veramente unico e non paragonabile a nessun altro Stato al Mondo è il proprio patrimonio artistico e culturale.   

Saro Trovato


17 luglio 2013

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