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La fotografia espressiva di Francesca Woodman e Letizia Battaglia in una doppia mostra a Brescia

Per l'inaugurazione della sua stagione la Galleria Massimo Minini di Brescia ha scelto di esporre in contemporanea gli scatti di due autrici molto lontane, accomunate qui per la loro notevole capacitร  espressiva...
Fino al 10 novembre 2012, la Galleria Massimo Minini di Brescia propone una doppia mostra che racchiude gli scatti di Francesca Woodman e Letizia Battglia

MILANO – Per l’inaugurazione della sua stagione la Galleria Massimo Minini di Brescia ha scelto di esporre in contemporanea gli scatti di due autrici molto lontane, accomunate qui per la loro notevole capacità espressiva. La prima Letizia Battaglia, conosciuta principalmente per gli scatti che hanno immortalato i delitti commessi dalla mafia durante gli Anni di Piombo e per i ritratti sociali costruiti per documentare la sua città natia, Palermo, non è solamente una fotoreporter di fama internazionale, ma è prima di tutto una donna che ha fatto della sua professione giornalistica un impegno civile e culturale. La seconda Francesca Woodman, una fotografa statunitense scomparsa all’età di 22 anni, troppo presto per conoscere la fama che oggi accompagna ovunque il suo nome e i suoi scatti, immagini acerbe nelle quali il corpo nudo si impone in una realtà tormentata. L’eccentrico gallerista Massimo Manini ce le racconta personalmente in una doppia mostra che rimarrà aperta al pubblico fino al 10 novembre 2012.

VULCANO SICILIANO – Letizia Battaglia nasce a Palermo nel 1935. La sua carriera giornalistica inizia nel 1969, quando lavora per il giornale palermitano L’Ora. L’anno successivo è già a Milano come fotografa, ma nel 1974 ritorna presto a Palermo, dove fonda l’agenzia Informazione Fotografica, con Franco Zecchin. In quegli anni diviene la “fotografa della mafia”, documentando i delitti e le atrocità commesse durante gli Anni di Piombo, con la volontà di comunicare l’atrocità dei gesti, sensibilizzando la coscienza umana. Grazie al suo lavoro di fotoreporter è presto raggiunta da una fama internazionale, che le vale il “Premio Eugene Smith” a New York e il “Mother Johnson Achievement for Life”. Il suo impegno sociale e la sua passione per gli ideali di libertà e giustizia sono descritti nella monografia delle edizioni Motta: “Passione, giustizia e libertà”. Così ci viene descritta dalle parole di Massimo Minini: "Letizia ha un nome di Battaglia, e di fatto è una lottatrice. L’ho chiamata un giorno, poco tempo fa, per passare a conoscerla. Un mito della fotografia, Letizia, ma non pensavo di cacciarmi nel cratere di un vulcano. Un vulcano siciliano, come si conviene, tra Etna e Stromboli; una fotografa di delitti, di morti, di madri disperate e guardie del corpo con magnum e il colpo in canna, di giudici riversi sui sedili, di galline e gatti sui tavoli. Letizia respira per pochi momenti ogni giorno, per il resto fuma una sigaretta dietro l’altra. È stata assessore alla cultura a Palermo con Leoluca Orlando, ma i poeti non devono fare politica. È furba, svelta, delicata, tranchant, abituata a vedere la morte in faccia, cosa volete che gliene importi delle menate del mondo dell’arte e della fotografia? Ho capito che lei non è una fotografa: è un essere umano incazzato di vivere in un mondo così sporco."

MANCATO INCONTRO – Francesca Woodman nasce a Denver il 3 aprile 1958, in una famiglia di artisti: il padre è un pittore, la madre Betty invece una ceramista. La sua passione per la fotografia si sviluppa molto presto, all’età di 13 anni, accompagnandola in tutta la sua formazione alla Rhode Island School of Design e portandola anche in Italia per seguirne i corsi europei. Scrisse: “Ho dei parametri e la mia vita a questo punto è paragonabile ai sedimenti di una vecchia tazza da caffè e vorrei piuttosto morire giovane, preservando ciò che è stato fatto, anziché cancellare confusamente tutte queste cose delicate”. Si suicidò nel 1981, alla giovane età di 22 anni. Di lei scrive Massimo Minini: "Non ho potuto conoscere Francesca Woodman, eppure ha abitato in Italia, a Roma, per pochi mesi, tra il ‘77 e il ‘78. Andavo a Roma spesso per incontrare artisti, amici, critici. Frequentavo il mondo dell’arte che allora mi sorprendeva, visto attraverso gli occhi di colleghi che vivevano nel mio stesso sistema. Giuseppe Casetti, ad esempio, o Ugo Ferranti  che  le hanno dato le sue prime mostre e Giuseppe Gallo, Sabina Mirri. Ma so anche che se l’avessi incontrata forse non avrei saputo riconoscerla. Incontriamo, noi galleristi (allora ero un gallerista rampante), molti giovani che ci propongono di guardare le loro opere. Di solito le osserviamo distrattamente, anche con un po’ di sufficienza. Un artista che cerca di farsi notare viene abitualmente guardato con sospetto. La domanda che fa l’artista (giovane) è: “ma allora come possiamo fare?”. Domanda quasi senza risposta."

29 settembre 2012

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