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Giuseppe Leone, il fotografo narratore dei costumi della Sicilia e dei suoi paesaggi

'Leone รจ un narratore della Sicilia, dei suoi monumenti, delle sue feste, dei costumi e della vita tutta, per immagini fotografiche'. Cosรฌ scrive Silvano Nigro di Giuseppe Leone...

DAI NOSTRI INVIATI A RAGUSA – ‘Leone è un narratore della Sicilia, dei suoi monumenti, delle sue feste, dei costumi e della vita tutta, per immagini fotografiche. Un narratore che si è accompagnato a Sciascia, a Bufalino e a Consolo e ha rivelato alla letteratura, la Sicilia più vera, quella degli uomini come quella della pietra vissuta e del paesaggio’. Così scrive Silvano Nigro di Giuseppe Leone, lo storico fotografo nato a Ragusa dove vive e lavora, con galleria e studio fotografico. Ha pubblicato una 40tina di volume con vari editori come Sellerio, Electa, Bompiani, e realizzato una serie di mostre in giro per l’Italia.I suoi lavori si sono sviluppati a 360°, pubblicazioni sul paesaggio, architettura, feste popolari, antropologia, moda, lavorando per riviste Nazionali e Internazionali sia a colori sia con il prediletto bianconero. Ne corso della nostra trasferta ragusana, abbiamo avuto modo di conoscere da vicino i suoi lavori e di intervistarlo…

Come nasce la sua passione per la fotografia?

E’ una passione giovanile. Già  14 anni ero nella bottega di uno studio fotografico locale. Ho imparato il mestiere seguendo la tradizione, sfruttando tutto quello che mi poteva dare una piccola città come Ragusa. Un percorso legato inizialmente alla formazione del mestiere, per sopravvivere, quando ancora lo studio fotografico era inteso nel modo tradizionale.

Contemporaneamente coltivavo la mia grande passione per la fotografia intesa come ricerca personale, bisogno di espressione. Nei primi anni, parlo del 1958-59, ho iniziato questa mia ricerca per l’ambiente, che poi ho proseguito negli anni ’60 con una documentazione vastissima fatta di immagini del Neorealismo legati al mondo operaio, contadino, alle miniere d’asfalto che c’erano a Ragusa. C’è una profonda ricerca per quanto riguarda la fotografia antropologica. Tutto ciò culminò con il mio primo libro, realizzato insieme all’antropologo Antonino Ucciello dal titolo “Città del Regno di Sicilia”. Fotografavo a cavallo di un periodo storco in cui avveniva il cambiamento delle città, cancellando quel che era stata per anni la lunga tradizione contadina e popolare.

E’ cambiato negli anni il suo approccio alla fotografia?

Successivamente, ebbi la fortuna di conoscere figure come Enzo Sellerio, Leonardo Sciascia, Gesualdo Bufalino, Vincenzo Consolo, tutte persone che mi diedero un plus nelle mie ricerche. Il mio primo libro personale lo pubblicai nel 1976 proprio con Sellerio, un volume dedicato all’architettura rurale ed al paesaggio degli iblei. Da qui una serie di fotografie e documentazione varia che mi hanno portato oggi ad avere un archivio non indifferente.

A quali dei suoi lavori è più legato?

E’ difficile sceglierne uno, mi sono sempre mosso tra reportage, paesaggio, architettura. Forse quello sui matrimoni, del quale sono riuscito a realizzare una documentazione tale da uscire nel 2003 con un volume edito da Sellerio dal nome “Il Matrimonio in Sicilia”. Un libro splendido, perché non è detto che la fotografia non debba essere legata a quelli che sono i riti privati delle famiglie per darne una capacità di lettura successiva a livello antropologico . L’importante è capire questo passaggio epocale tra la vecchia e la nuova società: in questo senso “Il matrimonio in Sicilia” in 70 immagini racconta episodi di riti privati utili a delineare l’evoluzione della nostra società.

 

Quanto l’ha aiutata nel suo lavoro vivere ed avere a che fare con un paesaggio come quello siciliano?

Ho lavorato a Milano e n altre città, ma in Sicilia il contesto mi è molto congeniale: è un territorio ricco e vario, un teatro del mondo: vediamo sbarchi di immigrati, periferie, omologazione. Tutti elementi che cerco di inserire in questo mio filone.

 

Cosa ne pensa dell’avvento del digitale in campo fotografico?

La digitalizzazione potrebbe essere un bene, se avesse una sua precisa fruizione di ricerca. Io preferisco decisamente l’analogico per una maggiore qualità del prodotto finale. Lavorando in analogico, ogni immagine risulta unica ed irripetibile, mentre cin digitale questa unicità si perde. Mi dedico a questa tipologia di immagine in analogico con una ricerca capillare, indispensabile per poter mandare avanti un certo tipo di discorso.

 

9 giugno 2014
 
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