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Giobbe Covatta, ”A leggere un libro non ci si annoia mai”

Il libro adatto ad ognuno di noi esiste, basta andando a cercare in una libreria, dove ce ne sono talmente tanti che è impossibile non trovare qualcosa d’appassionante. Parola di Giobbe Covatta, il famoso comico, attore e scrittore italiano, nonchè testimonial di AMREF e Save the Children. Protagonista nei giorni scorsi di Popsophia, il comico nato in Puglia ma cresciuto a Napoli racconta la sua esperienza in Africa, parla della situazione attuale e commenta con la sua ironia la pigrizia degli italiani nella lettura...

Il famoso comico racconta la sua esperienza in Africa e commenta con la sua ironia la pigrizia degli italiani nella lettura 

 

MILANO – Il libro adatto ad ognuno di noi esiste, basta andando a cercare in una libreria, dove ce ne sono talmente tanti che è impossibile non trovare qualcosa d’appassionante. Parola di Giobbe Covatta, il famoso comico, attore e scrittore italiano, nonchè testimonial di AMREF e Save the Children. Protagonista nei giorni scorsi di Popsophia, il comico nato in Puglia ma cresciuto a Napoli racconta la sua esperienza in Africa, parla della situazione attuale e commenta con la sua ironia la pigrizia degli italiani nella lettura.

 

Nel corso dell’edizione 2012 di Popsophia, lei è intervenuto sull’Africa. Come è la situazione nel Continente Nero?
Rispetto a quelli che erano gli obiettivi del millennio, di risolvere o dimezzare entro il 2015 una serie di problemi che riguardavano la mortalità infantile, la fame, la condizione femminile, l’aids, le condizioni sono peggiorate tutte. Non è una risposta esaustiva, ma è un metro che ci permette di misurare un po’ di parametri.

Nonostante la presenza di organizzazioni europee e mondiali, che portano istruzione tra le popolazioni africane, è possibile parlare in Africa di una precisa identità culturale e letteraria?
Probabilmente si. Esiste una condizione che sovente non è indigena e autoctona. Spesso succede che vecchi e nuovi “colonizzatori”, i nuovi interlocutori delle onlus e delle fondazioni si portano dietro un bagaglio culturale che, senza nessuna cattiveria, in qualche maniera si innesta in modo forte e consistente in quelle che sono strutture deboli, soprattutto a causa dei primitivi mezzi di comunicazione esistenti in Africa. La loro cultura rispetto alla nostra è più fragile, quindi la nostra diviene spesso predominante.

Nei luoghi dove la gente non gode di un buon tenore di vita, come in Africa, le persone non sono abituate a piangersi addosso. Quali sono secondo lei le differenze tra noi occidentali e le popolazioni africane nell’affrontare le difficoltà quotidiane?
Il proprio modo di pensare insieme al sistema culturale porta ad affrontare delle situazioni positive o negative in un certo modo. Tutto transita attraverso quelle che sono le abitudini a certi dolori; ciò che mi ha più colpito nei miei viaggi africani e che non ho mai visto una mamma piangere con un bambino morto in braccio. Ciò non significa che soffrisse meno di qualsiasi altra mamma di tutto il mondo nella stessa situazione, ma che c’è un’abitudine al dolore che prosciuga le lacrime preventivamente.

Cosa ne pensa della situazione attuale dell’Italia?
Credo che stiamo inguaiati, ma non solo in Italia. Sono convinto che questo sistema culturale-economico occidentalizzato, legato ad una serie di valori, sia arrivato a fine corsa non per volontà di qualcuno, ma perché mancano le condizioni oggettive per mantenere questi sistemi e questi ritmi di vita. Il sistema globalizzante, che ha messo in discussione le culture locali e l’economia di sussistenza, è responsabile di una serie di guai. E non mi riferisco allo spread, di cui, in tutta onestà, non me ne importa niente, ma di guai che possono portare questo pianeta verso un piano inclinato da cui sarà difficile uscire.

Come se ne esce da questa crisi?
E’ il difetto di questi ultimi 20 anni: chiedere ai comici la soluzione. E’ un errore, perché ai comici occorre chiedere qual è il problema, mentre spetta alla politica trovare le soluzioni.

In Italia si legge poco. Secondo lei perché gli italiani sono così pigri nella lettura?
Me lo chiedo anche io da un sacco di tempo. Eppure il panorama letterario è molto vasto. Andando a cercare in una libreria, io sono sicuro che ognuno potrebbe trovare un libro o una categoria capace d’appassionarlo. Probabilmente dipende dal fatto che non si c’è un’abitudine, non si è creato un volato, non c’è abbastanza pubblicità. Leggere un libro non solo non è quasi mai una cosa noiosa; ce ne sono talmente tanti che sicuramente si trova qualcosa d’appassionante per ciascuno. Credo che ognuno di noi possa avere uno scrittore di riferimento, se solo avesse modo di conoscerlo. Anche quando uno vede un film in tv, non viene mai sottolineato che esso è tratto da un libro, che nella maggior parte dei casi è ancor più bello del film, perché rispetto a qualsiasi altro strumento lascia spazio alla fantasia, all’immaginazione. Da noi, purtroppo, non funziona così.

Quali sono i suoi prossimi impegni? E’ in previsione un suo nuovo libro?
Io sono uno scrittore pigro, poco attendibile dal punto di vista della continuità. Sui contratti editoriali non metto mai la data, sia perché mi mette ansia, sia perché non sono in grado di garantirlo. Mi vengono delle idee, le appunto e, arrivato a mille, mi metto lì e ne traggo un libro che abbia un suo percorso. Non ho in testa delle scadenze e dei tempi precisi. Se mi viene un’idea ok, altrimenti me ne faccio una ragione. Il mio vero mestiere è fare l’attore, ma quando mi capita di scrivere un libro lo faccio con vero piacere e passione. Sto scrivendo adesso uno spettacolo nuovo, intitolato 2112, che tratta del futuro. Debutterà ufficialmente il prossimo gennaio, quindi ho ancora del tempo per metterlo a punto.

 

17 luglio 2012

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