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Gabriele D’Annunzio, le poesie più belle del Vate della letteratura italiana

Il 12 marzo 1863 nasceva uno dei poeti e scrittori più importanti, famosi e amati della letteratura italiana, “il Vate” Gabriele D’Annunzio. Lo celebriamo attraverso una selezione delle sue poesie più amate...

In occasione dell’anniversario della nascita di Gabriele D’Annunzio, padre del Decadentismo italiano, ecco una selezione delle sue poesie più belle

 
MILANO – Il 12 marzo 1863 nasceva uno dei poeti e scrittori più importanti, famosi e amati della letteratura italiana, “il Vate” Gabriele D’Annunzio. Lo celebriamo attraverso una selezione delle sue poesie più amate.
 
O FALCE DI LUNA CALANTE
O falce di luna calante
che brilli su l’acque deserte,
o falce d’argento, qual mèsse di sogni
ondeggia al tuo mite chiarore qua giù!
 
Aneliti brevi di foglie,
sospiri di fiori dal bosco
esalano al mare: non canto non grido
non suono pe ’l vasto silenzio va.
 
Oppresso d’amor, di piacere,
il popol de’ vivi s’addorme…
O falce calante, qual mèsse di sogni
ondeggia al tuo mite chiarore qua giù!
 
PASTORI D’ABRUZZO
Settembre. Andiamo è tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzo i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare,
vanno verso l’Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.
Han bevuto profondamente ai fonti alpestri
ché sapor d’acqua natia
rimanga nei cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d’avellano.
E vanno pel tratturo antico al piano
quasi per un erbal fiume silente,
su le vestigia degli antichi padri.
Oh voce di colui che primamente
conobbe il tremolar della marina!
Ora lungh’esso il litoral
cammina la greggia.
Senza mutamento è l’aria
e il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciacquìo, calpestìo, dolci rumori,
ah perché non son io coi miei pastori?
 
STRINGITI A ME
Stringiti a me,
abbandonati a me,
sicura.
Io non ti mancherò
e tu non mi mancherai.
Troveremo,
troveremo la verità segreta
su cui il nostro amore
potrà riposare per sempre,
immutabile.
Non ti chiudere a me,
non soffrire sola,
non nascondermi il tuo tormento!
Parlami,
quando il cuore
ti si gonfia di pena.
Lasciami sperare
che io potrei consolarti.
Nulla sia taciuto fra noi
e nulla sia celato.
Oso ricordarti un patto
che tu medesima hai posto.
Parlami
e ti risponderò
sempre senza mentire.
Lascia che io ti aiuti,
poiché da te
mi viene tanto bene!
 
UN RICORDO
Io non sapea qual fosse il mio malore
né dove andassi. Era uno strano giorno.
Oh, il giorno tanto pallido era in torno,
pallido tanto che facea stupore.
 
Non mi sovviene che di uno stupore
immenso che quella pianura in torno
mi facea, cosí pallida in quel giorno,
e muta, e ignota come il mio malore.
 
Non mi sovviene che d’un infinito
silenzio, dove un palpitare solo,
debole, oh tanto debole, si udiva.
 
Poi, veramente, nulla piú si udiva.
D’altro non mi sovviene. Eravi un solo
essere, un solo; e il resto era infinito.
 
IL VENTO SCRIVE
Su la docile sabbia il vento scrive
con le penne dell’ala; e in sua favella
parlano i segni per le bianche rive.
 
Ma, quando il sol declina, d’ogni nota
ombra lene si crea, d’ogni ondicella,
quasi di ciglia su soave gota.
 
E par che nell’immenso arido viso
della pioggia s’immilli il tuo sorriso.
 
CANTA LA GIOIA
Canta la gioia! Io voglio cingerti
di tutti i fiori perché tu celebri
la gioia la gioia la gioia,
questa magnifica donatrice!
 
Canta l’immensa gioia di vivere,
d’esser forte, d’essere giovine,
di mordere i frutti terrestri
con saldi e bianchi denti voraci,
 
di por le mani audaci e cupide
su ogni dolce cosa tangibile,
di tendere l’arco su ogni
preda novella che il desìo miri,
 
e di ascoltare tutte le musiche,
e di guardare con occhi fiammei
il volto divino del mondo
come l’amante guarda l’amata,
 
e di adorare ogni fuggevole
forma, ogni segno vago, ogni immagine
vanente, ogni grazia caduca,
ogni apparenza ne l’ora breve.
Canta la gioia! Lungi da l’anima
nostro il dolore, veste cinerea.
   
L’ULIVO
Laudato sia l’ulivo nel mattino!
Una ghirlanda semplice, una bianca
tunica, una preghiera armoniosa
a noi son festa.
 
Chiaro leggero è l’arbore nell’aria
E perché l’imo cor la sua bellezza
ci tocchi, tu non sai, noi non sappiamo,
non sa l’ulivo.
 
Esili foglie, magri rami, cavo
tronco, distorte barbe, piccol frutto,
ecco, e un nume ineffabile risplende
nel suo pallore!
 
O sorella, comandano gli Ellèni
quando piantar vuolsi l’ulivo, o côrre,
che ‘l facciano i fanciulli della terra
vergini e mondi,
 
imperocché la castitate sia
prelata di quell’arbore palladio
e assai gli noccia mano impura e tristo
alito il perda.
 
Tu nel tuo sonno hai valicato l’acque
lustrali, inceduto hai su l’asfodelo
senza piegarlo; e degna al casto ulivo
ora t’appressi.
 
Biancovestita come la Vittoria,
alto raccolta intorno al capo il crine,
premendo con piede àlacre la gleba,
a lui t’appressi.
 
L’aura move la tunica fluente
che numerosa ferve, come schiume
su la marina cui l’ulivo arride
senza vederla.
 
Nuda le braccia come la Vittoria,
sul flessibile sandalo ti levi
a giugnere il men folto ramoscello
per la ghirlanda.
 
Tenue serto a noi, di poca fronda,
è bastevole: tal che d’alcun peso
non gravi i bei pensieri mattutini
e d’alcuna ombra.
 
O dolce Luce, gioventù dell’aria,
giustizia incorruttibile, divina
nudità delle cose, o Animatrice,
in noi discendi!
 
Tocca l’anima nostra come tocchi
il casto ulivo in tutte le sue foglie;
e non sia parte in lei che tu non veda,
Onniveggente!
 
12 marzo 2015
 
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