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Emozioni in bianco e nero nella mostra ”Flâneur” di Piergiorgio Branzi

Si inaugura oggi la mostra Flâneur di Piergiorgio Branzi, giornalista e celebre fotografo toscano, realizzata in collaborazione con Contrasto Galleria Milano. Immagini in bianco e nero che riescono a fissare in una foto squarci urbani, attimi di vita, dettagli. Lo scatto deve...

Oltre 30 fotografie di Piergiorgio Branzi saranno in mostra da oggi fino al 12 settembre alla Leica Galerie di Milano. Il maestro del “ritratto ambientato” si serve della luce e dei contrasti per arrivare ad un perfetto equilibrio tra un lirismo sommesso e una vivida caratterizzazione psicologica.

 

 

MILANO – Si inaugura oggi la mostra ‘Flâneur’ di Piergiorgio Branzi, giornalista e celebre fotografo toscano, realizzata in collaborazione con Contrasto Galleria Milano. Immagini in bianco e nero che riescono a fissare in una foto squarci urbani, attimi di vita, dettagli. Lo scatto deve avvenire in un momento inaspettato e deve essere in bianco e nero: queste le uniche due costanti dell’arte di Branzi, il resto è affidato alla capacità e all’estro del fotografo.

 

IL SIGNIFICATO DEL TITOLO – “Flâner” significa “andare a zonzo, gironzolare, bighellonare”. E il Flâneur – come lo definiva Charles Baudelaire – è il gentiluomo che vaga per le vie cittadine, immergendosi nei luoghi e provando emozioni nell’osservare il paesaggio. Piergiorgio Branzi è sempre stato fedele a questo approccio alla fotografia, e le oltre 30 fotografie in mostra alla Leica Galerie lo testimoniano, confermando al contempo lo spessore autoriale del fotografo fiorentino.

 
BRANZI, MAESTRO DEL “RITRATTO AMBIENTATO” – Delle molte anime della fotografia italiana, Branzi incarna quella più colta ed aristocratica. Formatosi nella tradizione figurativa rinascimentale toscana, dotato di una naturale eleganza, presto abbandona la ricerca formale per diventare un maestro del “ritratto ambientato”. Monsignori, bambini, borghesi, paesani, colti di sorpresa, con sottile sarcasmo, restano in equilibrio tra un lirismo sommesso e una vivida caratterizzazione psicologica.

 
IL LABOR LIMAE DIETRO OGNI FOTO – L’immagine, rigorosamente bilanciata nella composizione, è per Branzi il prodotto di previsioni, riflessioni, aggiustamenti di tono e tagli in camera oscura, di equilibrio formale e momento decisivo nella ripresa.

 
L’INCONTRO CON GIACOMELLI – Fondamentale nella sua evoluzione stilistica fu l’incontro con il fotografo Mario Giacomelli, di cui Branzi dice: “aveva più o meno la mia età, e con lui stabilii un certo sodalizio artistico, perché tutti e due impegnati, in quel momento, a scandagliare le possibilità d’impianto espressionista: toni definitivamente neri e bianchi bucati, mangiati nella ripresa e nella stampa. In accordo definimmo questo segno l’identificazione stessa del fare fotografia, e su questo richiamo alla grafica stabilimmo un rapporto di intesa che contribuì ad avvicinarci anche sul piano dell’amicizia…”.

 
LA LUCE DELLA STAMPA GLICÈE – Con la tecnica della stampa giclée, utilizzata per la stampa della maggior parte delle fotografie in mostra, le immagini sembrano animarsi di una luce nuova e un contrasto più denso. Particolari rimasti sepolti sulla pellicola riaffiorano, diventano materia, intessono di spessore il nero e il bianco della trama e le fotografie trovano una dimensione diversa, più nuova e insieme antica.

 
PIERGIORGIO BRANZI – Nasce il 6 settembre 1928 in una piccola cittadina lungo il corso dell’Arno, Signa, a una decina di chilometri da Firenze, terzo di sette figli. Branzi apprende il fascino e la malia delle immagini impresse su pellicola proprio nell’orto della fabbrica del nonno che confina con il Teatro della cittadina. Finito il liceo Branzi, senza troppo entusiasmo, si iscrive a giurisprudenza. Alle prime frequentazioni di pratica in tribunale si rende conto che ‘non sarebbe mai stato avvocato e tanto meno giudice… forse imputato’. Il giro di boa, per la sua vicenda fotografica, si verifica nel 1953, con la visita ad una mostra di Henri Cartier-Bresson, allestita in palazzo Strozzi da Ragghianti. Esce dall’esposizione e acquista una macchina fotografica Condor, prodotta nelle officine Galileo di Firenze. Nel 1960 viene assunto alla RAI in qualità di ‘giornalista-reporter’, incaricato cioè di realizzare servizi completi di testo e di immagini. Nel 1962 il direttore del Telegiornale, Enzo Biagi, lo invia a Mosca. È il primo corrispondente televisivo occidentale nell’Unione Sovietica. Branzi rimane a Mosca quattro anni riservando la cronaca politica alla quotidiana attività professionale, mentre alla fotografia affida il compito di registrare un diario personale su una realtà ed una esperienza umana particolare. Le immagini di questo diario Branzi le tiene chiuse in un cassetto per più di due decenni, per non accendere travisamenti. Branzi torna da Mosca nel 1966 e appende la macchina fotografica al chiodo, dedicandosi alla pittura e all’incisione. Riprende in mano la sua Leica nel 1995, su invito di Italo Zannier per partecipare assieme a Barbieri, Basilico, Berengo Gardin, Fontana, Gioli, Scianna, e altri, all’iniziativa Itinerari Pasoliniani, in Friuli. La “Biblioteque National de France” di Parigi ha costituito nel 2007 un “Fondo permanente” delle sue opere. Sue immagini sono state acquisite anche dal “MOMA” di San Francisco, “Guggenheim Museum” di New York, “Fine Art Museum” di Huston, “Istituto Superiore Storia della Fotografia”, “Archivio Fratelli Alinari”, oltre ad altre Istituzioni pubbliche e gallerie, in Italia e all’estero.

30 giugno 2015

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