In Italia, rispetto ai premi letterari, il luogo comune è che siano tutti manipolati dalle case editrici… Almeno così dicono scrittori, giornalisti e gli stessi (piccoli) editori. Ovviamente con l’unica eccezione del premio nel quale loro figurano in cinquina, o che li ha premiati in passato, o c’è la possibilità che li premi in futuro.
Comunque, è vero che nel nostro mondo culturale la sovrapposizione tra il ruolo di autore che partecipa ai premi, di giurato che li decide e di giornalista che ne scrive, è pericolosamente molto frequente (a partire dal sottoscritto che è, o è stato, nella giuria di alcuni premi letterari nazionali e che di premi letterari si occopa e ne scrive…).
Ma forse non è neppure questo il primo problema, quanto quello del numero inutilmente elevato di premi in Italia, oltre 1800 tra grandi, piccoli e piccolissimi… Tolti quelli mediaticamente più seguiti e che pesano ancora qualcosa a livello di vendita di copie, e cioè Strega, Campiello e Bancarella, tutti gli altri rischiano di scomparire, e di non ottenere lo scopo per cui sono fondati: e cioè portare all’attenzione del grande pubblico gli autori migliori, scoprirne di nuovi, riconoscere i "grandi" scrittori, promuovere la lettura…
L’eccessiva quantità abbassa la qualità, inevitabilmente. E così i premi finiscono col diventare o una passerella per intellettuali e politici, o uno scambio di favori tra gli addetti ai lavori, i viveur dei salotti letterari…
Luigi Mascheroni
4 luglio 2012