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La punta di una matita si chiama mina, simbolo di amore e di libertà

La punta di una matita si chiama mina. Una mina che graffia, che artiglia, che fa esplodere contraddizioni ma che si può cancellare con un tenero colpo di gomma...

La punta di una matita si chiama mina.

Una mina che graffia, che artiglia, che fa esplodere contraddizioni ma che si può cancellare con un tenero colpo di gomma, perché conosce la pazienza della trasformazione, dell’evoluzione: ciò che oggi è così domani avrà la possibilità d’essere migliore.

 

E’ una mina che conosce diverse durezze, in grado di bucare il foglio su cui si scrive, oppure può essere dolce, friabile come lo stelo di un fiore. Ritrae l’esistenza, che scorre tra il dolore di essere e la bellezza di trasformare questo dolore in creazione. Una mina con le ali di un angelo che partorisce, non che distrugge. E’ nera, come il colore del lutto, perché chi crea sa di farlo per combattere contro la consapevolezza di una fine insita in noi forse più di un inizio.

 

Per questo e’ una mina guerriera, perché conosce la pietà per la nostra condizione umana, la pietà non la vendetta. Estasia il suo profumo di metallo che esala quando la matita viene temperata, sembra d’essere nelle mitologiche fucine di Vulcano nelle supreme viscere della terra, per ricordarci che polvere di metallo siamo, ferrei nel portare avanti la vita nel suo colore bianco e rosa e nero, ma fiduciosi sempre che domani l’oro del sole ci sveglierà in un altro giorno perché non siamo polvere invano. E’ una mina che concede sempre un altro giorno, perché da vera guerriera sopporta il peso semplice di sentire che la morte non e’ una condanna ma naturalmente l’altro volto della vita. Ed è solo per questo che la vita e’ poesia.

 

Da vera guerriera la mina della matita ama ciò che fa. Tratteggia l’intelligenza umana con amore, pazienza, determinazione, perché è madre, madre che segue il pensiero, il guizzo, il sentire dolente ma sorridente dell’essere vivente, che lo sferza se occorre, che lo accarezza se il pensiero ha bisogno di dolcezza, quando ha paura. E’ una mina che brilla ma non uccide, non trancia arti, non spara sul corpo, perché il corpo e’ una pagina di un libro Sacro, dove la mina di una matita osa solo tracciare una postilla, un commento, un racconto che consoli l’umanità. Anche questo sa un vero guerriero: uccidere e’ l’ultimo gesto, il colpo estremo del coraggio, quel gesto che il coraggio non vorrebbe mai compiere.

 

E’ una mina che ha il colore delle antiche monete, quelle che i grandi guerrieri mettevano pietosamente sugli occhi dei loro avversari per concedere loro un’altra vita. Un pensiero d’amore alle mine di tutte le matite.

Elena Gaiardoni

9 gennaio 2015

 
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