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Gaia Tortora, ”La cultura è quel seme che va impiantato in primis a scuola”

In un'intervista esclusiva, la giornalista e conduttrice del notiziario de La7 ci racconta come ha mosso i suoi primi passi nel mondo del giornalismo, spiega lo stato di salute dell'informazione e della cultura nel nostro Paese e confessa un suo personale ricordo del padre, l'indimenticato Enzo Tortora...
La giornalista e conduttrice del notiziario di La7 ci racconta di sé e del suo lavoro, commenta lo stato dell’informazione e della cultura in Italia e ci regala un suo ricordo del padre Enzo

MILANO – La cultura nel nostro Paese è associata immediatamente agli intellettuali e resta un parolone che spaventa. In realtà, per accrescere il proprio bagaglio basta poco, un buon libro, un film, una mostra. Sono parole di Gaia Tortora, la giornalista e conduttrice del notiziario de La7, che ci racconta come ha mosso i suoi primi passi nel mondo del giornalismo, spiega lo stato di salute dell’informazione e della cultura nel nostro Paese e confessa un suo personale ricordo del padre, l’indimenticato Enzo Tortora.

Come ha mosso i suoi primi passi nel mondo del giornalismo?
Ho iniziato ha lavorare molti anni fa in una storica emittente locale, Teleroma 56, la migliore palestra che si possa fare per chi vuole intraprendere questo mestiere. Non me ne voglia nessuno ma non c’è scuola che tenga se si ha la possibilità di fare esperienza sul campo. Lì mi occupavo un po’ di tutto, come avviene nelle televisioni locali, compreso condurre il tg. Una volta conclusa l’esperienza con Teleroma sono passata ad Inn, canale all news del gruppo Telepiù, e poi ho collaborato brevemente con l’agenzia Adnkronos. Dopo una parentesi alla web tv dell’Enel sono arrivata nel 2005 a La7.
 
Lei è uno dei volti principali dell’informazione italiana, come la giudica complessivamente?
Dare un giudizio complessivo sull’informazione nel nostro Paese non è semplice. Si rischia di generalizzare e questo non va mai bene. A volte siamo un pochino troppo ripiegati su noi stessi. Pensiamo di essere l’ombelico del mondo e invece nel mondo si muovono interessi di cui noi parliamo ben poco. Ma non credo neanche che sia un Paese privo di libertà di informazione. Ci sono molti aspetti migliorabili e soprattutto da approfondire ma oggi c’è uno strumento in più che è la rete e che permette di andare oltre e approfondire tutto quello che si vuole.
 
Crede che i social network cambieranno del tutto il modo di informare e comunicare?
I social network hanno già cambiato il modo di informare. Sono i più veloci. Arrivano oramai prima delle agenzie. Da twitter o facebook apprendiamo di un terremoto o di una dichiarazione di un politico prima che una agenzia batta la notizia. E’ il modo più veloce, immediato, rapido per lanciare un messaggio. Che poi però va comunque approfondito, verificato. Personalmente uso i social network sempre con un pizzico di ‘leggerezza’. Una battuta, una ironia, un commento sarcastico.
 
Nell’economia della sua professione, riesce a ritagliarsi del tempo per libri e letture?
Adoro leggere anche se il tempo è davvero poco. Prima vengono i giornali, ovviamente, ma poi i libri rimangono la mia passione. In questo momento sto leggendo “La cura Schopenhauer” di Irvin D. Yalom, ed è pronto sul comodino il libro di Walter Siti con cui ha vinto lo Strega. Leggo un po’ di tutto. Anche se sono appassionata di biografie.
 
Lei è il responsabile della redazione politica del Tg La 7. Da osservatrice privilegiata, perché si parla di cultura così raramente nei programmi politici di governo e dei partiti? In questo senso la cultura viene vista come un costo?
La cultura nel nostro Paese è una parola ambivalente. Viene immediatamente associata ai cosiddetti intellettuali e rimane un parolone che spaventa. In realtà basta poco per accrescere il proprio bagaglio. Un giornale, un buon libro, un bel film, una mostra. Tutto questo dovrebbe essere trasmesso con passione fin da piccoli ai nostri figli nelle scuole. Ecco, per me la cosiddetta cultura dovrebbe essere il seme che viene piantato in primis con la scuola. Ma questo avviene raramente e con grandi sforzi. Qui però il discorso si allargherebbe. Purtroppo questo Paese non investe sui giovani, sulla scuola, sulla ricerca. E così ci ritroviamo un Paese accartocciato su se stesso. Privo di ricambio, di preparazione. Di stimoli. Certo in questo senso la Cultura ha un costo. Che viene regolarmente tagliato.
 
Gli ultimi dati dicono che gli italiani leggono poco: secondo lei si tratta di pigrizia, poca offerta tra cui scegliere o snobbiamo i valori di un buon libro?
E’ da molto tempo che gli italiani leggono poco, e non solo libri. Anche se onestamente devo dire che si pubblicano anche tante cose inutili. Oggi però ci sono anche altri mezzi. Internet, l’e-book, mille modi per fruire e catturare informazioni. Forse in questo senso c’è un target che sfugge alle statistiche.
 
Lei è cresciuta con uno dei padri della televisione italiana che ha contribuito ad accrescere la cultura degli italiani. Qual è il ricordo più bello che ha di lui?
Ne ho tanti di ricordi. Molti come potrete capire li tengo per me. Perché chi deve per forza condividere con altri un personaggio pubblico ogni tanto ha bisogno di tenersi un pezzettino per se. Ma visto che siamo in tema mio padre era un gran divoratore di libri. Una volta (ero ancora molto giovane) mi balenò per la testa che volevo fare l’attrice (tipica fantasia di gran parte delle adolescenti…). Invece di scoppiarmi a ridere in faccia lui mi regalò i sonetti del Belli [Giuseppe Gioacchino Belli –N.d.R.]. ‘Tieni- mi disse – se vuoi fare seriamente questo mestiere devi imparare ad usare il diaframma. Studia’. Tanto per dire che mi ha insegnato che qualunque cosa avessi deciso di fare nella vita (anche quella che può apparire la più frivola) va fatta con serietà e passione.

23 luglio 2013

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