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Vinicio Capossela, “Il mio romanzo sul ritorno alla terra natale per riscoprire una cultura millenaria”

“Il paese dei coppoloni”, l’ultima fatica letteraria di Vinicio Capossela, candidato Feltrinelli allo Strega 2015, non è un romanzo nel senso tradizionale del termine. Non è nemmeno saggistica, ma c’è qualcosa di entrambi i generi...

Abbiamo intervistato il musicista e scrittore Vinicio Capossela in merito al suo ultimo romanzo, “Il paese dei coppoloni”, edito da Feltrinelli e candidato al Premio Strega 2015

 

MILANO – “Il paese dei coppoloni”, l’ultima fatica letteraria di Vinicio Capossela, candidato Feltrinelli allo Strega 2015, non è un romanzo nel senso tradizionale del termine. Non è nemmeno saggistica, ma c’è qualcosa di entrambi i generi. È un viaggio nel tempo e nello spazio. Il dove è legato alle origini dell’autore, l’Irpinia, nel paese in cui affonda le sue radici e nel quale, con questo libro, vuole tornare. L’autore racconta il suo ritorno alla terra natale. Ma non è un viaggio nostalgico, ma è ricco di musica, di poesia e di molto altro.

 

Il suo nuovo romanzo è stato candidato da Feltrinelli all’edizione 2015 del Premio Strega ed è entrato nella rosa dei finalisti. Cosa si prova?

Questo testo è stato consegnato nella sua prima versione nel 1999. C’è stato bisogno di molto lavoro e di molta pazienza. Volevo ringraziare l’editore dell’incoscienza coraggiosa di candidare questo libro a un premio letterario che, nel suo titolo, è affine alla materia cupa e selvatica delle terre di cui parla questo libro.

 

Qual è il tema centrale de “Il paese dei coppoloni”?

Affermare la verità dell’immaginazione sulla menzogna della realtà. Soltanto in questa chiave si può dare un nome a “Itaca” e parlare di una realtà anche estremamente locale e marginale, come quella di cui parlo. Che poi è la mia terra.

 

Per raccontare il suo romanzo si è spesso comodato Omero e il mito…

Tutti noi sappiamo che quando ascoltiamo una storia ben raccontata, siamo già, ascoltandola, nel tempo del mito. La materia di cui cerco di parlare in questo libro è quella di un paese in stato di abbandono e prossimo al degrado, ma che è stato al tempo stesso molto vivo in un passato prossimo, eppure un passato millenario: la cultura contadina, soprattutto mediterranea,  è una cultura millenaria, e quindi questo passato prossimo continua a irradiare – a costo di fermarsi e ascoltarlo – delle voci molto potenti. C’è un concetto molto ebraico in questo, quello di una comunità che deve essere esistita, perché viene composta dal racconto di tutti quanti ne compongono il canto una strofa alla volta. Nel minuscolo si può nascondere davvero il gigantesco.

 

Sempre a proposito di mito, il suo romanzo è il racconto di un ritorno, di un “nostos”, tema classico della mitologia greca…

Il nostos è una brutta bestia, perché il ritorno è anzitutto qualcosa di cui ci si dovrebbe liberare. Il ritorno è una grande trappola, è qualcosa di totalmente irrealizzabile: la vita ti spinge sempre ad andare avanti, impedendoci di tornare sui nostri passi. Non si può tornare. Si può solo cercare di recuperare e conoscere, inserendosi nel solco di una cultura di cui siamo parte e che al tempo stesso ha contribuito a formare, nel corso dei millenni e delle generazioni, le persone che siamo.

 

A chi è destinato questo libro? A chi può essere utile?

Questo libro può essere utile a trovare un nome per definire il mondo e noi stessi in relazione a esso. Ognuno deve riuscire ad assegnarsi un nome, anzi, uno “stortonome”, come quelli dei personaggi del libro, che lo definisca. Occorre individuare un animale guida che ci appartiene e che designa la nostra intima natura e che è in grado di condurci. E soprattutto vorrebbe comunicare il fatto che, come dicono i greci, i il mondo può essere distrutto, perché abbiamo la consapevolezza di poterlo ricreare quando vogliamo.

 

Un cantante e un musicista come lei, come vive questa esperienza di scrittore?

Per me scrivere è stato sempre necessario. Si scrive sempre da soli. La musica la si fa insieme, si ha un contatto diretto con il pubblico. La scrittura è un modo ancora più permeante, ancora più intimo di ricreare il mondo, ma è sempre lo stesso mondo che cerco di narrare. Cambiano gli strumenti, ma si cerca comunque di vivere un mondo e di dargli voce. Quindi non trovo molto conflitto né differenza tra l’attività di musicista e di scrittore: non è importante la forma, quanto la sostanza.

 

29 aprile 2015

 

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