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Toni Capuozzo, un libro per spiegare ai giovani cos’è la guerra

Una firma come quella di Toni Capuozzo, non passa inosservata. Il rispetto e la stima se li è guadagnati, dopo trent’anni trascorsi in zone di guerra, a parlare di temi scottanti, a raccontare il male e il bene del mondo...

Con “Le guerre spiegate ai ragazzi”, il giornalista e inviato trasmette la sua esperienza alle nuove generazioni

MILANO – Una firma come quella di Toni Capuozzo, non passa inosservata. Il rispetto e la stima se li è guadagnati, dopo trent’anni trascorsi in zone di guerra, a parlare di temi scottanti, a raccontare il male e il bene del mondo. I suoi occhi hanno visto il peggio: guerra, dolore, distruzione. Un  bagaglio di conoscenze acquisito grazie all’esperienza diretta, sul campo. Esperienza che ora ha deciso di trasmettere ai più piccoli e alle nuove generazioni, con l’ultima delle sue pubblicazioni: “Le guerre spiegate ai ragazzi” (Mondadori). Con la sensibilità di un genitore – papà di due figli e di un terzo “acquisito” (un bimbo di Sarajevo, portato via da quella zona di guerra a sette mesi, e che ha potuto crescere fino all’età di 5 anni) – si avvicina ai giovani per dar loro un aiuto a capire meglio la realtà.  

Da cosa nasce l’idea del libro “Le guerre spiegate ai ragazzi”?
Forse dall’età. La mia, che è quella in cui ti senti quasi in dovere di raccontare ai più giovani quello che ti pare di aver capito. Senza parlare da una cattedra, e senza presunzione. E forse dalla voglia di aiutare i più giovani a uscire da troppi luoghi comuni, da visioni del mondo troppo ottimistiche o tragiche, nelle quali parole come "guerra" o "pace" diventano strumenti consunti per capire la realtà. E anche per dare un piccolo contributo a non crescere generazioni inermi davanti alla violenza: conoscere il male, provare a comprenderlo, è un modo di combatterlo.

Spesso gli stessi bambini, principali destinatari di questo suo libro, assistono nel corso dei tg a scene di guerra e ad immagini violente senza avere gli strumenti idonei per comprendere certe visioni, con il rischio di rimanerne turbati. Da vice direttore di una testata come il TG5 cosa ne pensa?
Io sono, e credo di essere rimasto fedele a questo mio principio, contrario a usare le immagini più cruente. Si può avere una delicatezza che tutela, insieme, la dignità delle vittime e la sensibilità di chi guarda. E affidare piuttosto alle parole la testimonianza su quanto avviene. So che non sempre e non tutto il giornalismo segue questa regola, anche nelle cronache italiane, del resto.

Lei è da anni testimone di crisi e conflitti internazionali. Ci racconta in che modo, a suo parere, ci si deve approcciare nel raccontare certi episodi, sia da scrittore sia da cronista?
Lavorando ai fianchi, dietro la notizia. Le notizie viaggiano a ogni ora sulla rete, sulle reti all news. L’inviato deve raccontare uno spicchio di realtà da vicino, dando un volto e un’anima ai protagonisti delle storie,e  sapendo sempre che il suo compito è tener viva l’attenzione di un pubblico e di un lettore distante.

 

Secondo lei si da abbastanza spazio ai libri sui mass media? Cosa occorrerebbe fare per promuovere la cultura e la lettura in tv? Servono più contenitori appositi o rubriche all’interno di programmi “generalisti”?
Io credo che i libri debbano conquistarsi da soli l’amore del pubblico. Penso piuttosto che sia la scuola, e in parte la famiglia, a poter avere un ruolo nel promuovere la lettura come una compagna di vita, stimolando l’amore per il racconto, e togliendo ogni carattere "puntivo" alla parola stampata.

Da tempo oramai assistiamo a una crisi, non solo dal punto di vista economico, ma anche culturale. Cosa ne pensa della fase storica attuale?
E’ una fase di grande trasformazione. Essendo uomini di un tempo che passa, ne siamo impauriti, e tendiamo a notare soprattutto quello che cambia in peggio. Dovremmo essere più curiosi, non perdere il senso delle sfide, e non avere troppe paure.
 
17 Settembre 2012

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