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Patrizia Rinaldi, “Voglio scrivere con disinvoltura tra generi narrativi diversi come fa Nick Hornby”

Intervista all’autrice Patrizia Rinaldi: apprezzata giallista, è attiva anche nel campo del teatro e della narrativa per i più giovani. Il suo romanzo per ragazzi “Federico il pazzo” (Sinnos) è finalista al “Premio Andersen”, e per e/o sta per cimentarsi in un genere completamente diverso…

Intervista all’autrice Patrizia Rinaldi: apprezzata giallista, è attiva anche nel campo del teatro e della narrativa per i più giovani. Il suo romanzo per ragazzi “Federico il pazzo” (Sinnos) è finalista al  “Premio Andersen”, e per e/o sta per cimentarsi in un genere completamente diverso…

 

MILANO – Patrizia Rinaldi è una scrittrice attiva su molti versanti narrativi e in questo momento la sua scrittura sta ricevendo grande attenzione: il suo libro per ragazzi “Federico il pazzo (Sinnos, età di lettura 11 anni), che come inedito aveva già vinto il “Premio Pippi”, ha appena vinto il Premio ‘Leggimi forte’ ed è contemporaneamente nella terzina finalista del ‘Premio Andersen’. È inoltre apprezzata dal pubblico adulto grazie alla sua serie di romanzi gialli incentrati sulla commissaria ipovedente Blanca. Uscirà invece a maggio ‘Ma già prima di giugno’ (e/o), in cui l’autrice napoletana cambia completamente registro.

 

La si può definire una scrittrice versatile: dai romanzi gialli ai libri per ragazzi, fino alla prossima epopea “famigliare” incentrata sulla vita di due donne, madre e figlia, nel corso del Novecento. Come riesce a far convivere queste sue spinte creative?

Mi capita di pensare ai personaggi prima di cercare le loro storie. Il linguaggio, i contesti narrativi, gli accadimenti sono più conseguenza che premessa. Perciò mi pare naturale dire di età diverse. Nel prossimo romanzo e/o in libreria dal 13 maggio, Ma già prima di giugno, cerco appunto di raccontare una madre giovane e una figlia vecchia. Le vicende di una madre da giovane, Maria Antonia, che vanno dal periodo che precede il secondo conflitto mondiale fino agli anni sessanta, si affiancano al racconto-monologo di una figlia, Ena, giunta all’ultimo periodo della sua vita. Cerco di accostare i linguaggi della saga familiare, della  continuità, del divenire, della condivisione alla voce frammentata, solitaria e disperatamente vitale della solitudine anziana e della contemporaneità. Tra i tanti modelli letterari riusciti, che si muovono con disinvoltura attraverso generi e non generi, mi fa piacere ricordare il grande Nick Hornby. Riconosciamo sempre la sua scrittura e il suo modo di raccontare qualsiasi storia: è un insegnamento e un monito per me e spero anche per la rigidità di alcune definizioni.    

 

Dal pubblico dei polizieschi fino a quello delle saghe storico/famigliari e a quello dei ragazzi: come cambia la sua scrittura a confronto con questi generi molto diversi tra loro?

Avverto la necessità di trama, soprattutto i ragazzi mi hanno insegnato la cura per la ricerca della tensione narrativa. Non so dire se la scrittura cambi; ubbidisce, come ho già detto, all’età dei protagonisti, ma mi sono sempre riproposta di non semplificare o complicare linguaggi in maniera artificiale. L’unica urgenza che sento quando mi rivolgo ai ragazzi è non trascurare la responsabilità della speranza.

 

C’è un genere particolare che le risulta più congeniale o nel quale si sente più a suo agio a scrivere?

Scelgo la storia che desidero raccontare al momento, non avverto costrizioni da parte mia o di altri. Quando per esempio ho proposto un romanzo non di genere alla casa editrice e/o, la risposta è stata bella, accogliente. Scriverò ancora della serie poliziesca di Blanca, scriverò ancora per ragazzi, per il teatro. Per ora non è così, se in seguito avvertirò più congeniale un genere, lo sceglierò.

 

Qual è il pubblico più complicato da affrontare, o più esigente da soddisfare, secondo lei?

Scrivo per il pubblico, per essere letta, per incontrare sguardi. Non dichiarerei mai ricerche solitarie di stile, di anamnesi private, non riguardano il mio modo di raccontare; eppure mentre scrivo trascuro il dato dell’accoglienza futura del libro. Mi piace pensare che l’incontro con il lettore resti un dato ingovernabile, almeno in certa misura. Una parte di me, la migliore, cerca i lettori migliori, quelli che non si lasciano incantare dalla preoccupazione dello scrittore di piacere a tutti. Avverto il fascino della lettura come incontro imprevedibile, a me succede quando leggo. I librai abili, la critica letteraria attenta, i blog che offrono conoscenze serie e altro possono favorire l’appuntamento delle circostanze, ma il lettore allenato sa che alcune variabili sentimentali si consumano in anarchia. Il pubblico più difficile (sorride, ndr) resta quello dei non lettori.

 

Secondo lei, si riesce a riconoscere la scrittrice Rinaldi “per adulti” nella sua narrativa per ragazzi, e viceversa?

Spero proprio di sì, ma non posso essere io a dirlo. 

 

3 maggio 2015

 

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