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Kalyan Ray, ”Nel mio libro racconto le difficoltà dell’emigrazione e del colonialismo”

Abbiamo intervistato Kalyan Ray, autore indiano rinomato per la sua raffinatezza espressiva e la straordinaria profondità di ricerca linguistica. ''Una casa di acqua e cenere'' è il suo primo romanzo tradotto in italiano...

Intervista allo scrittore indiano Kalyan Ray, autore del romanzo “Una casa di acqua e cenere”: una storia ricca e complessa, che attraversa due secoli di storia e tre continenti

 

MILANO – Abbiamo intervistato Kalyan Ray, autore indiano rinomato per la sua raffinatezza espressiva e la sua straordinaria profondità di ricerca linguistica. ”Una casa di acqua e cenere” è il suo primo libro tradotto in Italia ed è pubblicato da Nord. Un romanzo intenso, complesso e ricercato, che inizia con un duplice omicidio negli Stati Uniti e ritorna indietro di duecento anni per raccontarci le vite, le lotte e le emigrazioni di molti personaggi, attraverso due secoli e tre continenti, dall’Irlanda all’India e fino agli Stati Uniti. Incontri, passioni, tragedie, avventure, amori e tradimenti: un arabesco colorato e imprevedibile, che si dipanerà lungo il filo della Storia e del mondo intero.

 

 

Il romanzo si apre con un duplice omicidio, sembrerebbe un thriller. Invece si sviluppa in maniera del tutto diversa e sorprendente, diventando un  romanzo storico dal respiro epico e globale. Perché questa scelta?

Ho deciso di iniziare questo libro con un omicidio perché in questo modo si chiude il cerchio del racconto, anche se poi questo episodio è irrilevante per il dipanarsi della storia. “Una casa di acqua e cenere” è un libro che parla di persone che si spostano continuamente da un luogo all’altro e in qualche modo si ritrovano, anche fortuitamente. Il genere del thriller non m’interessa, la mia intenzione era quella di colorare una storia completamente diversa.

 

Il titolo dell’edizione italiana è molto diverso rispetto al titolo originale, “No Country”. Cosa ne pensa?

Il titolo inglese del libro, “No Country”, deriva da una poesia di Willia Yeats, Sailing to Byzantium. È un componimento molto noto a tutto il mondo anglosassone, ma il riferimento a questa poesia direbbe poco ai lettori italiani. Per fare un paragone, sarebbe l’equivalente del Va, Pensiero in Italia, ha la stessa forza. Il titolo italiano, “Una casa di acqua e cenere”, mi piace molto, secondo me funziona bene: “casa” indica la ricerca di un luogo di appartenenza. L’ “acqua” è vita, senza questo elemento non si può esistere; la “cenere” al contrario è simbolo della morte, soprattutto per la mia cultura: io sono indiano, e al mio Paese cremiamo i defunti e ne disperdiamo le ceneri in acqua. È un titolo che sento molto vicino. È un libro che comunque parla della ricerca di una casa, della vita e della morte. Per rappresentare questi elementi ho scelto una struttura circolare.

 

Un romanzo storico, ambientato tra Irlanda, India e Stati Uniti: paesi che hanno “subìto” il colonialismo inglese, al quale hanno “reagito”. Qual è il suo pensiero a riguardo?

Questo libro tratta esattamente di colonialismo: durante il quindicesimo e il sedicesimo secolo si sono fatte le grandi esplorazioni, dal diciassettesimo fino al diciannovesimo è stata l’epoca dell’industrializzazione e l’era delle grandi migrazioni. Gli europei hanno iniziato a migrare verso le grandi città, verso nuove nazioni e si sono iniziati a sfruttare i nuovi paesi colonizzati per le loro materie prime. È quello che ha fatto l’Inghilterra. In Irlanda, durante il periodo della carestia centinai di migliaia di persone sono state costrette ad abbandonare la propria patria e avventurarsi verso gli Stati Uniti per cercare di sopravvivere. Numerosi irlandesi si sono recati anche in India, e hanno iniziato a lavorare per gli inglesi. All’inizio queste persone erano bene accette perché erano un’utile manodopera. L’apertura del Canale di Suez ha cambiato la situazione globale, e la stessa manodopera irlandese era diventata d’improvviso inutile. I matrimoni interreligiosi e interrazziali, dapprima caldeggiati dalle autorità britanniche, in vennero ostacolati. È in questi anni che si intrecciano le vicende dei miei protagonisti. Il colonialismo – e questa è la cosa più assurda – veniva presentato come un  modo per migliorare la condizione economica e sociale del paese colonizzato. In realtà non era altro che l’espressione di potere della cultura occidentale sul più debole.

 

Il libro ha una struttura complessa, articolata su più generazioni e un gran numero di personaggi e vicende. Quanto ha impiegato per portare a termine la progettazione e la stesura del romanzo?

L’idea di questo libro mi è venuta sei anni fa. Il lavoro di redazione è durato circa quattro anni. Ho fatto molte ricerche – in tre continenti diversi – perché volevo che anche i più piccoli dettagli riguardanti la storia indiana, irlandese e americana fossero esatti. Le farò un esempio: c’erano molte donne immigrate che lavoravano nella fabbrica tessile Triangle. Nel romanzo parlo di quello che fu il più grave incidente industriale della storia della città di New York. Tutte le donne che cito nel romanzo a proposito di questo disastro – a parte Bibi, personaggio di finzione – sono donne realmente esistite, che lavoravano in quella fabbrica e sono morte. Tra loro vi erano moltissime immigrate italiane, polacche, irlandesi. Attraverso le mie ricerche ho voluto rendere loro omaggio.

 

 

16 gennaio 2015

 

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