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Barbara Fiorio. “Le fiabe di una volta erano più cruente, ma i bambini imparavano di più”

Abbiamo incontrato la scrittrice genovese Barbara Fiorio che ci ha parlato del suo ultimo romanzo, “Qualcosa di vero”, pubblicato da Feltrinelli. Una storia di amicizia tra due donne, anche se una ha solo 9 anni...

Abbiamo intervistato l’autrice Barbara Fiorio, in uscita col suo romanzo “Qualcosa di Vero”, edito da Feltrinelli. Un’amicizia tra una donna e una bambina, legate da un modo non convenzionale di raccontarsi le favole

 

MILANO – Abbiamo incontrato la scrittrice genovese Barbara Fiorio che ci ha parlato del suo ultimo romanzo, “Qualcosa di vero”, pubblicato da Feltrinelli. Una storia di amicizia tra due donne, anche se una ha solo 9 anni, che affrontano la vita coi suoi piccoli, grandi, a volte enormi problemi, e trovano nel linguaggio delle fiabe un ponte per comunicare, insegnando e impararando molto l’una dall’altra. Ma non è un libro di fiabe. E anche le fiabe che ci sono, non sono di certo le fiabe cui i lettori sono abituati.

 

In “Qualcosa di vero” si parla di fiabe, e molte ne vengono raccontate. Potremmo definirlo un libro di fiabe?

Sebbene le fiabe occupino un ruolo importante nella storia, “Qualcosa di vero” non è un libro di favole, né un libro per bambini. Si toccano molti argomenti. Al centro della storia ci sono le due protagoniste, Giulia e Rebecca, una donna di 40 anni e una bambina di 9 anni, che intrecciano un rapporto particolare. Un altro personaggio importante è Leone, un vecchio che abita sul loro stesso pianerottolo. E può capitare che le famiglie non siano sempre unite dai legami di sangue, ma si ‘formino’ semplicemente per una vicinanza fisica ed emotiva. Il libro affronta questi due mondi molto diversi, separati da differenze generazionali ma accomunati da problematiche da affrontare. Il linguaggio delle fiabe – un modo non convenzionale, sia di intenderle che di narrarle – crea appunto un legame tra questi mondi, rendendo possibile la comunicazione e la possibilità di imparare molto in entrambe le direzioni.

 

Le fiabe che lei scrive nel libro sono molto diverse dalle fiabe che conosciamo oggi. Innanzitutto per il tono molto ironico e disincantato. Inoltre c’è una sorta di ritorno alle origini…

Le fiabe che noi tutti conosciamo, quelle di Perrault, di Andersen e dei fratelli Grimm, sono molto diverse da come se le immaginano i bambini di oggi. Adesso è molto più affermato il modello Disney, in cui le stesse vicende vengono narrate comunque in maniera bellissima, poetica e fantasiosa, ma le storie sono molto “edulcorate” rispetto alle versioni originali. Le fiabe vere sono più crudeli, truci: ci sono creature senz’anima, occhi cavati e tanti aspetti che oggi definiremmo violenti, splatter. Eppure quelle fiabe svolgevano una funzione importante: forse spaventavano i bambini, ma gli insegnavano le difficoltà del mondo, i suoi valori, e loro crescevano e imparavano lezioni utili per la vita. Anche sul fatto che fossero storie più violente, occorre dire che i bambini hanno dei filtri diversi rispetto ai nostri: recepiscono informazioni diverse. Immagini che a un adulto appaiono violente, un bambino magari non le nota nemmeno, perché si concentra su altri aspetti della vicenda, e non per questo assume comportamenti violenti nella vita reale.

 

Le protagoniste del romanzo sono Giulia, una pubblicitaria quarantenne, e Rebecca, una bambina di 9 anni. Possiamo dire che “Qualcosa di vero” è un libro che si rivolge a un pubblico femminile?

I personaggi principali sono femminili, ma non è un romanzo dedicato alle donne. Penso che sia una lettura che possa interessare generi diversi di lettori. Nel romanzo sono presenti diverse figure maschili in cui è possibile immedesimarsi, per un uomo. Anzi, questi personaggi, in particolare Lorenzo e Daniele, sono molto positivi e più completi, risoluti e conclusivi delle loro controparti femminili. Quindi ritengo che non sia un libro al “femminile”, ma che possa indirizzarsi a un pubblico più vasto.

 

Il rapporto tra le due protagoniste è molto bello, e i loro dialoghi toccano, divertono, commuovono. Com’è riuscita a ricreare questa relazione? Ha attinto dalle sue esperienze personali?

Io non sono madre, però sono stata una bambina di 9 anni, ed è un periodo della mia vita che mi ricordo benissimo. A quell’età è nata la mia curiosità, il mio continuo pormii domande e anche la mia voglia di scrivere, di inventare e di raccontare storie. Mi ricordo meglio quel periodo della mia vita rispetto a molti altri. Quindi sì, c’è molta della mia esperienza nel libro, ma più dal lato di Rebecca, la bambina, che di Giulia. Con questo non intendo dire che sia un libro autobiografico, tutto il romanzo è un’invenzione. L’unico episodio reale tratto dalla mia vita è la vicenda del “credere in Zorro”, ma solo chi leggerà “Qualcosa di vero” potrà capire di cosa parlo.

 

17 aprile 2015

 

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