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Antonio Moresco, “Le letteratura, come la scienza, necessita di trovare nuove idee, perché l’uomo ha bisogno di una grande invenzione”

Intervista allo scrittore Antonio Moresco che ci parla della sua ultima fatica letteraria, “Gli increati” (Mondadori), un romanzo visionario che ci propone una nuova idea del tempo, dello spazio, della vita, della morte e anche di qualcos’altro...

Intervista allo scrittore Antonio Moresco che ci parla della sua ultima fatica letteraria, “Gli increati” (Mondadori), un romanzo visionario che ci propone una nuova idea del tempo, dello spazio, della vita, della morte e anche di qualcos’altro

 

MILANO – Abbiamo intervistato lo scrittore Antonio Moresco, attualmente in libreria con il suo ultimo romanzo “Gli increati” (edito da Mondadori): un racconto visionario, sperimentale (sin dalla copertina!), caratterizzato dal riconoscibilissimo stile dell’autore e dall’ampio, ampissimo respiro della sua portata. Un romanzo monumentale, che si pone come episodio conclusivo di una trilogia iniziata oltre trent’anni fa e che ha visto i suoi primi capitoli in altri due romanzi altrettanto importanti e complicati, “Gli esordi” (1998) e “Canti del caos” (2009). Una trilogia che è un’esplorazione di ogni aspetto dell’umano e della vita. Con “Gli increati” l’autore si spinge oltre, descrivendo col suo stile onirico e potente una nuova e stupefacente concezione dello spazio e del tempo, del potere creativo della morte e di quello distruttivo della vita, fino a qualcosa di nuovo, totalmente inaspettato e fuori dai tradizionali schemi di pensiero, l’increazione. 

 

Ne “Gli increati” il lettore trova molte più domande che risposte. È così anche per il suo autore?

Quando scrivo un libro non succede che accendo i fari abbaglianti e illumino 100km di strada. Sono uno scrittore che si muove nel buio, cercando la propria strada. Ritengo che il lettore debba avere una partecipazione creativa nella lettura: non è un recipiente vuoto da riempire di parole. Scrivere e leggere sono la stessa avventura, si affronta insieme. Nel mio libro, è vero, ci sono più domande che risposte. Qualche risposta c’è e spero possa apparire vertiginosa, e che spiazzi un po’ il nostro modo di pensare. Io credo che le domande aprano, mentre le risposte chiudono, e quindi sono io il primo che continua a porsi domande, perché ritengo che ciò che non sappiamo sia molto di più rispetto a quello che sappiamo. Questa è una consapevolezza assodata nel campo della conoscenza, gli scienziati ammettono di non conoscere il 96% della materia di cui è composto l’universo. In letteratura è diverso, gli scrittori sono dentro a questo 4% e sono convinti di poter spiegare tutto. Io penso che anche la letteratura dovrebbe condurre in uno spazio di scoperta e di invenzione, e in questo senso le domande sono un tramite importantissimo: il bambino è curioso, sa che ha moltissimo da imparare, mentre l’adulto si convince di sapere tutto quando invece non è così. Scrivere è cercare una strada nel buio.

  

Nel suo libro propone una visione nuova e alternativa alla concezione di tempo e di spazio cui siamo abituati. Cosa l’ha spinta a sperimentare qualcosa di così audace?

È assodato che l’idea che abbiamo di spazio e di tempo sia una convenzione che l’uomo si è imposto da sé. Noi abbiamo questa idea lineare, ma la scienza ci dice altre cose sullo spazio e il tempo. Noi ci siamo inventati questa freccia orizzontale che procede dal passato, attraversa il presente e arriva al futuro: detto in altri termini, c’è prima la vita e a seguire la morte. A mio modo di vedere questo è uno schema chiuso che ci imprigiona, bisogna trovare ipotesi e teorie alternative per scardinare questa nostra convinzione. In questo libro io mi sono inventato un qualcosa di diverso: c’è una prima parte, la morte, c’è una seconda, la vita (ho invertito l’ordine) e poi ho inventato un’alternativa chiamata “increazione”. Ho fatto un viaggio in una direzione diversa, che non va a chiudere l’orizzonte del possibile, ma che lo spalanca, andando a offrire un’ipotesi che è aliena al nostro tradizionale modo di ragionare. Io penso che la letteratura, con i propri mezzi, che sono diversi da quelli della scienza, possa spingersi in una zona che non è ritenuta accessibile e stupire, indicare una via.

 

La stesura di questo romanzo conclude una gigantesca trilogia che ha impegnato un enorme arco di tempo della sua vita…

Sono arrivato a questo libro dopo oltre 30 anni di rincorsa. “Gli increati” conclude un trittico che era iniziato con “Gli esordi” ed era proseguito con i “Canti del caos”. Si tratta del mio discorso generale sulla natura umana. Ci sono arrivato molto lentamente e anche, in qualche modo, a mia insaputa. Nei primi libri infatti avevo inserito alcuni indizi e alcuni elementi che poi sarebbero confluiti in questo romanzo conclusivo. Ma all’epoca non ne avevo ancora coscienza, non ne ero consapevole e non capivo perché avessi messo determinate cose in quelle pagine. Come Pollicino nella fiaba, ho in qualche modo sparso delle briciole lungo la strada. Io ho intrapreso questo cammino e spero che chi leggerà questo libro lo prenderà sul serio: non come un paradosso o un gioco letterario, ma come un’ipotesi che possa convincere l’uomo – sia letterato, sia scienziato – a spingersi oltre.

 

Perché avverte questa urgenza di ampliare gli orizzonti del pensiero umano e di perseguire nuove e ardite ipotesi?

Io credo che in quest’epoca moderna l’uomo abbia bisogno più che mai di nuove idee, nuove teorie, nuove grandi invenzioni. In quanto specie, noi uomini abbiamo giocato malissimo le nostre carte, anche nei confronti del pianeta che ci ospita: abbiamo fatto dei veri disastri: nessuna specie è arrivata al punto da rendere inospitale il proprio habitat. Noi uomini abbiamo bisogno di una grande invenzione che ci permetta di andare oltre, di ragionare al di fuori di questo schema chiuso che ci siamo imposti e al di fuori del quale non riusciamo a vedere né a comprendere. “Gli increati” nasce da questa consapevolezza: noi ci troviamo in un periodo storico che potrebbe essere o una fine o un inizio. Molto di questo dipende da noi e dalla nostra capacità di superare le Colonne d’Ercole che abbiamo introiettato nella nostra mente e che ci fanno ripetere continuamente lo stesso cammino. Continuiamo a distruggere, creare qualcosa e distruggerlo ancora. L’uomo non può più far finta di non saperlo, non può ignorare questa verità. Non è solo la scienza che può portare nuove idee, nuove teorie e nuove energie: anche la letteratura ha il dovere di battere un colpo in questa direzione, di pensare, di suggerire nuove strade, di andare oltre.

 

14 giugno 2015

 

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