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Il realismo violento e divino di Caravaggio

Pochi artisti hanno suscitato tanto interesse e hanno rivoluzionato così profondamente la storia dell'arte come il pittore vissuto nella seconda metà del Cinquecento

MILANO – 445 anni fa nasceva Michelangelo Merisi detto il Caravaggio. Pochi artisti hanno suscitato tanto interesse e hanno rivoluzionato così profondamente la storia dell’arte come il pittore lombardo Caravaggio, vissuto nella seconda metà del Cinquecento. La sua vita travagliata, segnata da un delitto, una fuga disperata e un perdono giunto assieme alla morte, ha contribuito a creare il mito di Caravaggio, genio solitario e malvisto dalla Chiesa di Roma. Oltre la leggenda, la straordinaria novità dell’opera di questo grande protagonista che crea un realismo che non si ferma ad osservare e copiare la natura ma rifiuta le convenzioni e punta sul vero non cercando la ricerca del ‘bello” fatti. La capacità che ha il pittore lombardo di dare a un corpo una forma tridimensionale viene evidenziata dalla particolare illuminazione che teatralmente sottolinea i volumi dei corpi che escono improvvisamente dal buio della scena. Sono pochi i quadri in cui il pittore lombardo dipinge lo sfondo, che passa nettamente in secondo piano rispetto ai soggetti, i veri e soli protagonisti della sua opera.

GLI ESORDI – Michelangelo Merisi, noto come il Caravaggio (dal nome del paese originario dei genitori) nasce a Milano il 29 settembre 1571 e a tredici anni incomincia l’apprendistato da pittore presso la bottega del Peterzano, dove avrà modo di conoscere la scuola pittorica lombarda e quella veneta, dominata da Giorgione, Tiziano e Tintoretto. Dopo la morte del padre, dei nonni e infine della madre, Michelangelo si trasferisce a Roma intorno al 1592. Qui, grazie all’amico Prospero Orsi, nel 1597 Caravaggio conobbe il cardinal Francesco Maria del Monte, uomo di cultura ed appassionato d’arte che, incantato dalla sua pittura, acquistò alcuni dei suoi quadri e gli diede da lavorare per tre anni, accrescendo la sua fama di artista nei più importanti salotti dell’alta nobiltà romana. Tra i primi lavori di grandi dimensioni vi è il “Riposo durante la fuga in Egitto”, dipinto tra il 1594 e il ’95.

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LE COMMISSIONI PUBBLICHE – Nel 1599, ancora grazie all’aiuto del cardinale del Monte, Michelangelo ricevette la prima commissione pubblica per tre grandi tele da collocare all’interno della cappella Contarelli nella Chiesa di San Luigi dei Francesi; tele che riguardavano episodi tratti dalla vita di san Matteo, in particolare la Vocazione ed il Martirio. In meno di un anno il pittore concluse le due opere che gli aprirono il successo pubblico, così che ebbe immediatamente altri importanti incarichi, soprattutto a tematica sacra che però il Caravaggio dipingeva prendendo a modello persone comuni. Storico è l’aneddoto legato al dipinto la “Morte della Vergine”, commissionata per la chiesa di Santa Maria della Scala a Roma ma rifiutata dagli stessi Carmelitani Scalzi perché ritenuta indecente e blasfema. Nonostante questo, nell’aprile del 1607, la tela entrò a far parte della ricchissima quadreria dei Gonzaga, acquistata da Rubens che all’epoca era al servizio del Duca di Mantova.

 

I GUAI CON LA LEGGE – Da alcune fonti, pare che l’arrivo a Roma non fu per nulla casuale ma piuttosto fu un modo per scappare ai guai con la legge. Sembra infatti che intorno al 1590 Caravaggio, oltre alle numerose risse in cui era stato implicato, avesse commesso un omicidio; motivo per cui da Milano si spostò a Venezia e poi a Roma, appunto. Tra un arresto e una querela, il Merisi dipinse nel 1602 la “Cattura di Cristo” e “Amor vincit omnia”. Nel 1605 fu costretto a scappare a Genova per circa tre settimane, dopo aver ferito gravemente un notaio. Il fatto più grave si svolse però a Campo Marzio, la sera del 28 maggio 1606: a causa di una discussione causata da un fallo nel gioco della pallacorda (una sorta di tennis) il pittore venne ferito e, a sua volta, ferì mortalmente il rivale. Il verdetto del processo fu severissimo: Caravaggio venne condannato alla decapitazione, che poteva esser eseguita da chiunque lo avesse riconosciuto per strada. In seguito alla condanna, nei dipinti dell’artista lombardo cominciarono ossessivamente a comparire personaggi giustiziati con la testa mozzata, dove il suo macabro autoritratto prendeva spesso il posto del condannato. Aiutato dal principe Filippo I Colonna, per il quale dipinse la “Cena in Emmaus” oggi a Brera, Caravaggio fuggì da Roma.

 

IL PRIMO PERIODO NAPOLETANO – Alla fine del 1606, Caravaggio giunse a Napoli, nei Quartieri Spagnoli, dove rimase per circa un anno. Dei molti dipinti eseguiti durante il primo periodo napoletano (1606-08), tre sono probabilmente i più importanti: la “Madonna del Rosario”, per la cappella della famiglia Carafa-Colonna nella chiesa di San Domenico Maggiore; il suggestivo “Sette opere di Misericordia” (1606-1607), dipinto cardine per la pittura in Italia Meridionale e per la pittura italiana in generale, e infine una seconda versione della “Flagellazione di Cristo” sempre per la chiesa di San Domenico Maggiore, poi spostato al museo di Capodimonte.

 

MALTA E LA SICILIA – Nel 1607 Michelangelo Merisi parte per Malta, sempre per intercessione dei Colonna, e qui entra in contatto con il gran maestro dell’ordine dei cavalieri di San Giovanni, Alof de Wignacourt, a cui il pittore fece anche un ritratto. Il suo obiettivo era infatti diventare cavaliere per ottenere l’immunità, in quanto su di lui pendeva ancora la condanna dell’omicidio. Dopo un anno di noviziato, il 14 luglio 1608 Caravaggio fu investito della carica di cavaliere di grazia, di rango inferiore rispetto ai cavalieri di giustizia di origine aristocratica ma a causa di una lite, venne ugualmente arrestato e rinchiuso in carcere. Riuscì a fuggire fino in Sicilia, a Siracusa e ovviamente venne radiato dall’ordine.

 

GLI ULTIMI ANNI – Alla fine dell’estate del 1609 Caravaggio tornò a Napoli, dove continuò a dipingere tele che raffiguravano morti e decapitati. Nel frattempo, da Roma gli fu inviata la notizia che papa Paolo V stava preparando una revoca del suo bando di condanna a morte. Da Napoli quindi, dove abitava presso la marchesa Costanza Colonna, si mise in viaggio nel luglio 1610 per raggiungere Porto Ercole, segretamente diretto allo scalo portuale di Palo di Ladispoli, in territorio papale, dove avrebbe atteso in tutta sicurezza il condono papale prima di ritornare, da uomo libero, nella città eterna. Ma a Roma non arrivò più, poiché dopo sfortunate vicissitudini, morì a Porto Ercole il 18 luglio 1610.

 

 

 

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