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A Bosnian story, il reportage fotografico che racconta il dramma dei minatori di Rudnik doo durante la guerra

Raccontare il lavoro nella miniera di carbone Rudnik doo, i cui minatori, nel 1993, scavarono il tunnel che collegava Sarajevo assediata al resto del mondo. E’ questo l’obiettivo alla base del progetto fotografico “A Bosnian story; the rudnik doo” (Bosnia Erzegovina, 2011)...

Il reportage,  a cura di Jacopo Gallitto, Carlo Mossetti e Carlo Reviglio, rientra all’interno della rassegna fotografica “Reportage from Babylon”, in programma a Torino

MILANO – Raccontare il lavoro nella miniera di carbone Rudnik doo, i cui minatori, nel 1993, scavarono il tunnel che collegava Sarajevo assediata al resto del mondo. E’ questo l’obiettivo alla base del progetto fotografico “A Bosnian story; the rudnik doo” (Bosnia Erzegovina, 2011). La mostra, a cura di Jacopo Gallitto, Carlo Mossetti e Carlo Reviglio, viene inaugurata stasera a Torino presso gli spazi dell’associazione culturale bin11 di via Belfiore 22a e resterà aperta fino al 27 Gennaio.

 

LA STORIA – Sarajevo, Inverno 1993. Dalle colline che circondano la città l’esercito serbo assedia la capitale da sedici mesi. Nella notte del 30 dicembre un gruppo di minatori provenienti dalla vicina città di Breza, scavano un tunnel dal sobborgo di Hrasnica fino al cuore della Sarajevo assediata. Ricompensati con un pacchetto di sigarette per otto ore di lavoro, in quel momento aprono l’unica via sicura con il resto del mondo per i tre anni d’assedio che sarebbero seguiti.

 

MINIERA COME SIMBOLO – La miniera è un simbolo dimenticato nella Bosnia Erzegovina di oggi, un Paese che cerca di saltare sull’ultimo treno per l’Europa ma che si trova ancora in balìa di ferventi nazionalismi e di una fragile economia. A quasi vent’anni da quell’episodio, Rudnik doo, la miniera di carbone, non ha mai chiuso, continuando le attività estrattive come ha fatto sotto il tiro dei cecchini serbi durante il conflitto in Bosnia-Erzegovina. Rudnik è Breza: l’apertura degli impianti, l’espansione delle gallerie negli anni di Tito hanno accelerato la crescita demografica rafforzando l’interdipendenza tra miniera e città; tutt’ora continua ad assorbire la maggior parte della forza lavoro, costituendo la principale fonte di sostentamento per la popolazione dell’intera area circostante Breza.
In Bosnia, dove la disoccupazione si attesta al 40% della forza lavoro e lo stipendio medio è di circa 800 Konvertibilna Marka (circa 400 Euro), percepire dai 600 KM (per i neo assunti) ai 1600 KM (dopo decenni di servizio) come dipendente Rudnik costituisce l’unica alternativa al servizio militare, a lavori sottopagati o in nero. Ma nella città di Sarajevo, dopo quasi vent’anni dalla fine del conflitto in Bosnia Erzegovina, nonostante si continui ad alzare altari ai caduti, si è presto dimenticato il fondamentale contributo dato dalle braccia dei minatori di Breza, che continuano a scavare gallerie lunghe chilometri rischiando ogni giorno la vita.

 

I LINGUAGGI DEL REPORTAGE – La mostra rientra nel focus su alcune storie italiane e straniere che la Rassegna “Reportage from Babylon”, al suo secondo anno, propone al pubblico torinese. Si è iniziato venerdì 12 ottobre con la rassegna Michela Battaglia, che in Topografia della Memoria si interroga sul ricordo delle vittime di mafia. Quindi venerdì 23 novembre, Ilenia Piccioni e Antonio Tiso (agenzia Molo7) hanno presentato “Cartoline dalla Calabria“. Dal 20 dicembre al 6 gennaio è stata la volta del “Vatican Secret Archive”, il servizio fotografico realizzato dentro l’Archivio Segreto Vaticano, nato da una collaborazione con il giornalista scientifico Marco Merola e la redazione del National Geographic Italia. A gennaio la rassegna allarga nuovamente l’orizzonte su un’Europa sospesa tra fantasmi del passato e crisi economica, prima con “A Bosnian story: The Rudnik doo” per poi concludere con Gianpaolo La Paglia ed il suo reportage An Unexpected End, per offrire un testimonianza originale sulla recessione irlandese.

 

11 gennaio 2013

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